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Visualizzazione dei post da settembre, 2015

Il destino di chi legge

Accerchiato, assediato dai libri. Potrei morirne senza dispiacermene, ci pensavo ieri, al workshop di scrittura creativa. Ieri e ogni volta che entro in libreria. Se mi carcerassero chiederei per pietà di scontare la pena in una galera colma di romanzi. E non per il godimento che ne avrei  - che pure è incurabile - ma al contrario per provarne rimorso, e camminare la distanza interminata tra ciò che ho letto e ciò che vorrei (e dovrei) leggere. Leggere è un lavoro che non prevede una fine, è una ragnatela di zucchero filato di rimandi, deviazioni, intuizioni, cerche, che ti si appiccica addosso come da ragazzi la bava di quel bastoncino al luna park. Figliano di continuo gli scaffali, su cui spettacolarmente i librai dispongono gli scrittori che bisogna frequentare, quelli che mi piace frequentare, quelli che devo frequentare per poter dire che li detesto: i libri non stanno mai fermi, cambiano posto nelle tue priorità, ti fanno gli agguati, come i gatti. Ci sono stili che rapiscon

Scrivere

Sapete, scrivere è una specie di cospirazione. Si cospira contro i propri spettri, contro la ripetitività dei giorni, la prospettiva della morte. Io, faticando assai, due cose in croce le ho imparate e provo a suggerirle a chi vorrà starmi a sentire. Stasera e domani ripartiamo con due differenti laboratori di scrittura: un lavoro che mi piace perché mi piace pasticciare con le parole e cucinare dolcetti con ingredienti noti ma il cui sapore sia nuovo. Una delle prime cose che dico, ai corsi: rubiamo dai più bravi per costruire uno stile personale. Che sembra un paradosso ma a pensarci bene è il segreto di quelli che sanno cosa scrivono e danno forma e sapore ai libri. Leggo sui social commenti entusiasti per romanzi insignificanti: recensori imberbi che ai temi prendevano sei meno li definiscono stupendi e anche meravigliosi . Sono quelli che  ignorano Buzzati e Sciascia ma idolatrano gli scrittori del nulla e spingono case editrici con una dignità storica a privarsene per sempre p

Storie corsare

Io avrei voluto viaggiare per mare, e forse in un'altra vita l'ho fatto davvero, appresso a un uragano. Così ogni volta che mi imbatto in una storia corsara mi incanto: L'isola del tesoro , per dire, credo sia il più bel romanzo mai scritto, l'unico che ho letto due volte, ora e da ragazzo, come tornare pentiti dal primo amore dopo aver capito che nessun altro lo vale. M'innamoro dei libri ma li tradisco, abbandonandoli per altri e poi chiedendo loro scusa. Soprattutto con quelli marinari fatico a esser fedele, perché l'oceano oltre che attrarmi mi fa paura e ogni tanto devo scendere dalla nave. A Farfa ieri, terra di monaci e incunaboli, m'è presa un'altra infatuazione. C'era Liberi sulla carta, fiera dell'editoria indipendente (dove fiera oltre che per nome va inteso per aggettivo, visto il giusto vanto dell'editoria libera dalle logiche del mercato) e ho trovato un romanzo breve che racconta il dopo della Mary Celeste. Lo ha scritto su

Parigi, non era destino

copyright Disney Pixar Già di questi tempi, più ottobre che estate ma senza il caldo ostinato di adesso, attaccavo -  in certi pomeriggi dal muso lungo che pioveva e non pioveva -  via Menotti per la salita di san Valentino o per la scorciatoia di scalette e case popolari, e sembrava che il niente che era la mia vita si irrobustisse un poco, e lasciasse il posto al qualcosa . Uscivo lasciando su fb o qui dentro questa casa/blog alcune stente e passeggere paure che diventando di tutti sbiadivano, senza contare che era bello poi sotto leggervi puntuali, grati commenti. Per due anni ho camminato tanto, mangiato poco, amato a caso, dormito soltanto quando impietosivo dio, letto un'enormità. E consumato centinaia di ore di scuola, di radio, sognato la vita che faccio adesso, o meglio quella che farò tra poco, che sarà ci scommetto perfino meglio della speranza. Sono sceso a pesare sessantasei chili, compravo Medioevo , Il Fatto Quotidiano . E ripensavo con discreta, costante osses

Senza una scelta

Io credo. Credo in tante poche cose ma in alcune persone perfette, di micidiale esattezza per la mia vita. Credo che sia il tempo - ora, proprio qui - di rivoltare la paura in speranza, l'immobilità in dinamismo. Io non voglio ammalarmi ma non lo eviterò stando seduto a temere che accada. Il bello degli uomini è che a volte non hanno scelta: vivere -  contro ogni evidenza, contro il buon senso -  è l'unica risposta. Per cui progettare: è la cosa più giusta, quella che so fare meglio. Cosa? Ogni cosa. Stare con te, perché sei la mia ragione e il mio sentimento. Crescere mia figlia meglio di quanto ho fatto finora, scrollandole di dosso le scorie dell'adolescenza, anzi aiutandola a farlo ma da lontano, perché ognuno deve godersi il vanto di decapitare da solo i propri mostri. Ma anche cose più piccole, che significano voler bene a se stessi: scaldare la pizza invece di mangiarla fredda, per esempio, e smettere di dire che tanto è uguale. Voglio sorridere, scagliar via una vol

L'estate sfrontata di Flavia e Roberta

(ansa) Ho giocato a tennis per anni - male, da schiappa - finché un'ernia non mi ha fatto smettere. Però mi divertivo, ricordo la mattina prima della partita che scrutavo il cielo: se avesse piovuto niente match. Giocavamo sul cemento micidiale di Itieli, in tenuta contadina, con le galline a becchettare fuori della rete, o alla Valletta, circolo borghese in cui un'ora di gioco durava 50 minuti - la relatività del tempo - griffati Lacoste, per darci un tono, e ci scuotevamo la terra da sotto le suole con le racchette, come i campioni. Ho amato il tennis dei poeti - John McEnroe: l'aedo moderno; un po' meno quello dei bombardieri, dei pallettari, però mi piaceva l'audacia serve&volley di Boris Becker, tedesco curiosamente simpatico. Ho vissuto in tv almeno tre finali di Davis azzurre: tutte perse. Mi venivano ogni tanto - inspiegabilmente, forse solo per istinto - certi colpi straordinari, annacquati in un mare di boiate galattiche, e pur avendo un braccio

Timeout

Oh, sì. Se solo avessi un mestiere che mi fa costruire le cose con le mani vedrei il mio ingegno farsi concreto e avrei la prova tangibile di ciò che so fare. Ci ho pensato, qualche volta. Cucire borse, risuolare scarpe, rilegare vecchi dizionari di greco, con uno scalpello far diventare un pezzo di legno un dosa spaghetti. Invece io tutte queste cose le guardo finite, le compro nelle artigianerie, non conosco il tempo del loro trasformarsi da materia prima a oggetto, non passo le notti in bianco ad aspettare che mettan le branchie, non sperimento la poesia della loro gestazione. Sono una di quelle persone che consumano la creatività altrui e - per competitivo spirito di emulazione - provano a loro volta a creare, ma gli vengono solo libri  - o altre sciocche, presunte opere d'arte - e dopo che hanno scritto un libro pretendono pure di diffonderlo ai Colossesi e ricavarne di che vivere. Invece ogni libro scritto avvicina alla morte perché a furia di prender confidenza con te stess

Fame d'aria

Quando ho questo boccone di tristezza che non passa e resta incastrato in gola non c'è rimedio che scriverne, tentare di scenderci a patti, e se anche un solo amico mi legge - e mi fa sapere che ne pensa - non sarà tempo perso. Tanto ne perdo a bizzeffe, di tempo: ad aver paura di ammalarmi, ad aver paura che stia male chi amo, a scrivere sciocchezze su questo blog, compulsivamente, come un tossico di parole. Scrivevo di meno, una volta, e scrivevo più superficiale, leggero. Era quando il mondo sembrava il progetto di un dio per bene. E allora scusatemi se parlo ancora di dio, ma è che lui non risponde, non commenta i miei post; non so, magari sta tatuando qualche frase di Miley Cyrus sulla natica di una commessa di Eurospin ma non c'è verso, si finge assente, morto. E finché non risponde gli romperò le palle: deve ammazzarmi per farmi smettere. Forse per questo mi fa vivere a Terni, ora che ci penso. Vorrei chiedergli due o tre cose che mi stanno a cuore, comunque; quando l

Il mio nome

Indelicato chiamare coi vezzeggiativi del vecchio un nuovo amore, eppure c'è chi lo fa. Io no: ogni amore ha un suo nome proprio, nomignoli solo per sé, una precisa carta d'identità. Lavorare di fantasia e inventare epiteti ogni volta: questo è opportuno fare. Col mio naso da scrittore fiuto una storia in una sigaretta buttata per terra, mi interessa il prima, il perché, il tempo di quel fumatore che chissà chi aspettava, cosa ne ha fatto, oltre a fumare, dei minuti attesi, cosa ha comprato per cena, cosa pensa del regolamento dei gol in trasferta, cosa ha temuto - una malattia, un abbandono -  in quel frangente che fumava. Volevo scrivere per quello, quando ho cominciato: per ricostruire la storia dalle cento teste dietro quella sigaretta. E cerco etichette di pregio, il più possibile almeno, per ogni volto, perché nessuno dica Potevi sforzarti di più: Luca è troppo elementare. Se ami i tuoi personaggi vale come per le persone: dài loro nomi ponderati quasi fossero figli. De