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Visualizzazione dei post da dicembre, 2019

Ora e qui

Io e questa erba siamo nati insieme, io e queste pietre impilate a forma di casa siamo nati insieme, io e certe mutazioni, io e certe canzoni, abbiamo spartito la stessa epoca. E i viaggi che ho fatto li ho fatti in posti intonati alla mia anima - quasi tutti - e ovunque mi sono incantato a guardare la bellezza, perché la bellezza e io abitavamo la medesima stagione, cosa che sa di miracolo. Non vorrei essere nato in un altro tempo, neanche potendolo scegliere; al massimo ci vorrei fare un salto ogni tanto, per un caffè con Italo Svevo, un viaggio in diligenza da Sacramento a Salt Lake city, una notte a Alessandretta assediata dagli arabi. Poi il rientro, in questi panni e in questi guai: tanto mi piacciono le smanie che mi procura la modernità che non potrei farne a meno. Eccomi - mi vedete? - perfettamente incasellato nel mio destino, nei miei anni, nella mia città, a respirare vento e ammoniaca eppure grato al caos perché ne posso parlare, all'ingiustizia perché se scrivo pos

Così a volte io mi sogno

Sarei tentato di dirmi felice, a stare un giorno intero dentro un chiosco da giostrai. Uno di quei bussolotti che montano davanti agli autoscontro, chiuso dal di dentro, a far pagare i biglietti alla gente che pur in fila al freddo è allegra, perché porta i figli a divertirsi. Mi accorgerei felice perché starei al riparo dal mondo epperò allo stesso tempo sua parte, cisti benigna che ha scoperto come non far del male a nessuno e non riceverne. Fuori il tempo si muove, gli amanti passano svelti coi baveri alzati, le vedove incappottano i cani e gli danno nomi umani, tanto che chi ha lo stesso battesimo si volta, pensando che lo stanno a chiamare. Certi motori tagliano incuranti per la ztl, il mio amico Jalenti vende i dischi di Bublè, li confeziona nei pacchetti rossi, ha un consiglio saggio per tutti quelli che non sanno che regalare ai figli, a parte la giostra. Non lo meriterebbero, quel consiglio: chi non sa cosa regalare ai figli non dovrebbe farne. Di tanto in tanto passa un mi

E poi?

Un altro libro, un'altra felicità, un viaggio a Inverary, una cena con delitto, una notte in alta quota dentro un albergo impiccato, un regalo da fare a Pietro ogni nuovo 21 febbraio, il fine settimana a Itieli numero trecento. Traguardi. Che hanno il pregio di essere miei, nel senso che sono pensati su misura per i gusti che ho, e le ambizioni. A volte li mischio insieme e sembrano un frappè, comincio una cosa e ne lascio via un'altra, e in bocca mi arriva il corpo tagliuzzato di una fragola, un sapore di cannella, una scaglia di rosmarino. È un sistema per sentirsi vivi, questa roba qua, e una manifestazione di ottimismo: gettare le fondamenta di una casa essendo ragionevolmente convinti di veder montare il tetto. E questo è il mio record del mondo, quanto a senso della vita: una miriade di piccole bellezze luminose, come le stelle notturne d'agosto. Finché non arriva qualcuno a sparigliare le carte - un'amica, un'ospite in radio, la negoziante di

La virtù del fumo

C'è una ricorrente circostanza che mi far venire voglia di fumare: il tramonto di un giorno in cui tutto è andato - miracolosamente - per il verso giusto. E dal momento che saranno cinque o sei in un anno le occasioni in cui il mondo gira a meraviglia, fumo di rado e un pacchetto di cigarillos mi dura una stagione, e ce n'è d'avanzo. Oggi è una di quelle, però: nientemeno, anche se non c'ho voglia di raccontare perché, e allora vamos. La prima tappa è la tabaccheria, per forza di cose. Che sia antica però, e abbia le pipe di radica poggiate su un bancale un po' altero, lontano dalle Marlboro, parentame plebeo. E che odori di caramella balsamica e trinciato sfuso, e che i legni dei mobili ne siano impregnati a volontà. Eccomi, sono arrivato, ce n'è rimasto solo uno di spacci così nei dintorni. Chiedo al tabaccaio - un signore coi baffi rossi e il gilet a rombi, che somiglia a Richard Dreyfuss - la marca meno pestilenziale e lui mi dà dei Mini Mehari's al

Cinque su mille e quattro

C'è un lavatoio, tra Vasciano e il cucuzzolo di Itieli,  - definito audacemente fontanile sui cartelli stradali - al quale son salito ieri, di primo pomeriggio, a cercare pace e silenzio: hai visto mai fossero piovuti giù dallo speco francescano, che sta a picco proprio là sopra. Tirava una tramontana gelida da altri colli, ostinata a intrufolarsi tra le gole e a legare la gente contadina dentro alle case, a capare l'uvetta per il torcolo. A un certo punto ho alzato gli occhi sopra il dorso di una mucca e l'ho visto: il cielo in fiamme. Stava sospeso sopra la valle industriale, trattenendosi solo per i miei occhi, neanche fossi James Bond. Aspettava che lo guardassi, giuro, stava lì a fremere perché moriva dalla voglia di tramontare ma non prima che me ne fossi accorto, di quanto era magnifico. L'ho contemplato cinque minuti e alla fine è andato via, tutto contento. E a quel punto mi ha preso l'allegria - e mi prende di rado, credetemi, e perciò quando succede