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Visualizzazione dei post da febbraio, 2024

Caffè lontano

Così si va, talora senza neanche l'intenzione, si va per derubricare la noia dai reati della domenica, si va che già il giorno sta scurendo: in un paese vicino c'è un teatro pomeridiano dentro le mura di un convento di suore, tanto basta per farmi alzare il culo dal divano. Pino Strabioli racconta Paolo Poli, attore aristocratico se mai ce n'è stato uno, ma a me m'incanta di più il percorso da fare fino al palco, il villaggio intermittente di luci come bagliori da una stella, lampioni che sfavillano, luminarie di Natale non ancora smontate e in fondo alla piazza, recintato da transenne, un caffè del 1950, con l'insegna antica pencolante sulle teste dei commercialisti, arrivati selvatici, a branco, in motocicletta. A chi viaggia con me faccio cenno di andare, che la raggiungerò prima che si accorga della mia assenza, ma adesso, davvero, devo fermarmi qui. Perchè è qui, vivaddio, che mi sono fermato anche un mare di tempo fa, appresso a Gastone e perfino a Pietro - se

Canzone della ragazza solitaria

Comincia a piovere, sono nel parcheggio della scuola, tra poco tocca a me. Ho un corso di scrittura coi ragazzi delle medie, ne ho fatti tanti e son felice di provare ogni volta una certa qual ansiosa emozione: la freddezza non giova ai narratori. Il dubbio è sempre lo stesso: decidere se raccomandare loro le opere più popolari o suggerire roba eccentrica, che non hanno mai sentito nominare. Le prime sono spesso più innocue, hanno una sola chiave di lettura, quella letterale, e non pretendono curiosità. La roba eccentrica costringe i ragazzi a diventare speleologi: la grotta è la loro testa, ci si inoltrano con la lampada sulla fronte e attraverso passaggi claustrofobici arrivano in un qualche ambiente inesplorato. Mi ci perdo, in questi ragionamenti, ed è allora che uno spiffero sonoro di vento entra dalla portiera. Suona proprio: come un flauto, non è un modo di dire. Immagino che un fantasma dispettoso, fatto dell'aria che scende dalle montagne, si sia intrufolato nell'abita

Due donne

Il teatro greco di Taormina è uno di quei tre o quattro posti dove mi piacerebbe morire, naturalmente tra un paio di secoli. Il guaio è che non potrei perché ha la stupefacente capacità di farmi sentire immortale, felice come una Pasqua e mezzo ciucco anche se ho bevuto solo gazzosa. Esistono posti così, quello è un posto così. Lì ho immaginato che faccia farò quando scoprirò che tutto ha un senso e che tutte le ansie scoperchiate di notte erano soltanto un gioco di ruolo, una beffa ben architettata. Lì, sulla scalea lavica, in faccia al tramonto dello Ionio, non più tardi di dieci anni fa ho fatto il punto della situazione con due donne libere che assecondavano la mia impudicizia. Cercavamo tutti e tre una giustificazione a quella licenziosità, che un po' ci spaventava e un po' ci divertiva. E inseguivamo un'espiazione, ma con calma. Poi la sera, tra le viuzze ornate di passamanerie, di tovaglie di broccato poggiate sui davanzali, ecco la parola che ci salvò, pronunciata p