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Visualizzazione dei post da marzo, 2023

La città mia

Una donna legge un libro su una panchina dei giardini, coi piedi sul bordo d'una grande fontana circolare davanti alla quale da universitario preparai Antichità medievali. Un ragazzo arabo ride e parla al cellulare con la fidanzata, è felice cogli occhi e non vede dove cammina, come io in un'altra vita. Un'altra donna, che è stata maestra di mia madre e quindi va per i cento, procede impettita coi capelli fatti, e quando le sono davanti mi fissa e mi fa Ma tu non sei Francesco? Allora è vero che sei tornato . Ha questo di bello, la città mia: che se fai una cosa lo sanno tutti, e ne parlano col telefono senza fili, e spesso lo sanno prima che tu la faccia, talora prima che tu la pensi. Tornare a vivere dove uno è nato credevo fosse solo un gesto cantato nelle canzoni, e perciò impossibile da compiere. Invece pur per una strada tortuosa che m'ha spezzato il fiato, ora sono qua: mi vedete? E stare qua mi suggerisce altre storie, e scusate se rubo le vostre posture pensose

In trattoria

Quando sono in viaggio - per lavoro e divertimento, perché le due cose coincidono - capita che vada a mangiare in certe trattorie che hanno i tavoli incastrati in una nicchia del muro, davanti a una finestra. Mi piace tenerle a mente, ricordarmi come ci si arriva,  e se prenoto specifico che vorrei proprio quel tavolo lì, dove cade una luce allegra e da dove posso guardare la strada, e la gente che passa. L'ultima volta è stato a Foligno, un posto grazioso del centro storico, colle caricature di attori morti alle pareti e i camerieri dalla cortesia non esibita. Brando e la Monroe, in disegni colorati, dimentichi d'esser passati a miglior vita, m'hanno guardato mangiare con calma un antipasto di stracciatella con pomodorini e pistacchio e un primo di cappellotti al brodetto di rape con scaglie di mandorle e tartufo. Al ragazzo pakistano che mi ha consigliato il vino ho fatto notare che non lo volevo freddo di frigo, ma lui ha fatto di testa sua e me lo ha servito ghiacciato.

Un uomo libero

Placo l'irrequietezza al mare, dove al contrario molti dei miei amici diventano furibondi. A me, per paradosso, m'addolcisce, e tutto si fa più sopportabile, compresi l'ipocondria, gli inganni e la colite. Così stamattina ho lasciato un'amica a poltrire e sono uscito sulla spiaggia, a cercare nostalgie d'altri tempi incastrate dentro vacanze d'altre vite. Laggiù baciai una donna, proprio dove quello sperone di roccia taglia in due le onde, e fu l'unico bacio che ci demmo; più in qua, a una bancarella che aveva le zampe nell'acqua, comprai Il mondo alla fine del mondo, e per qualche notte Tarquinia divenne una riva cilena e un covo di contrabbandieri. C'era un bar che apriva la mattina presto, nel '96, e c'è ancora, e la ragazza che lo gestiva s'è fatta adulta, bella d'una bellezza niente affatto sfiorita. Sono entrato con una fame da lupo: a un tavolino d'angolo un uomo anziano, con un panama calcato di tre quarti, mi ha guardato

L'innocenza

Guardo una foto antica, i volti che sorridono attorno a un tavolo, una festa di compleanno. Sono tutti in maniche corte: è estate. Giocano la vita, ne hanno davanti un gran tratto, se anche ne perdono un poco che fa. Non sanno le canzoni di domani, non hanno visto i film che verranno, non dicono le parole che devono essere ancora inventate: sembrano meno contorti di noi. In Italia saltano le banche e scoppiano i treni, ma loro sono giovani, stanno per partire per il mare, non han familiarità col dolore, gli è passato accanto come uno che corra a piedi e non dia confidenza a chi sogna le vacanze. Tutta la sofferenza, l'affanno, il patimento dei giorni, son acqua atra che berranno a sorsi cauti quando l'alternativa sarà distruggersi. Ora no, ora sono leggeri, brindano a vino frizzante, scherzano lontano dai vecchi, parlano di politica e allora si fanno seri, indignati, votano Pci e magari ci fosse ancora, perché almeno potrei distinguerlo, tra questa melma. La sera guardano la tv

Guardare il mondo

" Chicchio , c'è il sole", disse Gastone una mattina di marzo limpida e oscena. Chicchio ero io e avevo due padri: uno taciturno e scuro, uno più vecchio e leggero, responsabile dei miei talenti, della mia curiosità. Pietro viveva dentro certi confini angusti e pur non amandoli la tentazione a cambiare era meno ostinata dell'abitudine: le sue lune credo derivassero da questa impotenza. Gastone al contrario mi mostrò per tutta la fanciullezza gli strumenti dell'arte, e quando io da grande li adottai non mi accorsi che usarli m'avrebbe complicato la realtà, rendendola troppo attraente per il tempo stretto che un uomo ha a disposizione. E insomma quella mattina, che il cielo s'era spalancato d'azzurro dopo una settimana di temporali, Gastone promise che m'avrebbe fatto usare la sua telecamera, a patto che la legassi al polso e seguissi con scrupolo tutte le sue indicazioni. L'istinto ci condusse all'acropoli: da lì nelle giornate limpide lo sg