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Visualizzazione dei post da agosto, 2020

Il buio

Se la realtà è quello che sembra, tutto ciò che ho posato nelle case nelle case resta. Oggi per esempio son salito in collina a portare i Gialli Mondadori e voglio sperare che stanotte se ne stiano buoni e in ordine nella libreriuccia che ho preso apposta per loro e non che - appena taglio la corda - svaniscano, o si mettano a ballare il tango, per poi ricomporsi dritti e impassibili - come io li ho messi - il giorno che mi rifaccio vivo. Questa cosa degli oggetti che cambiano aspetto o posto se io dormo me li accomuna tuttavia alle persone, li rende vivi e rende me felice: in tutta onestà la vita mi piace di più quando ho il sospetto che quel che vedo non sia tutto quello che c'è. Accanto ai Gialli Mondadori - dato che c'era spazio - ho sistemato un'altra collana che gioca proprio col mistero. Comprai il primo numero nel 2010, e presi a leggerlo in macchina, mentre aspettavo Susanna che usciva di scuola. C'era Roma, c'era un cacciatore di fantasmi dal destino nel n

Il contrario

Tra gli indiani Sioux delle pianure americane c'era una specie di sciamano, chiamato Heyoka, che tutti consideravano sacro. Aveva una funzione fondamentale: quella di fare sempre il contrario di ciò che facevano gli altri. Cavalcava al contrario, camminava al contrario, sedeva dando le spalle alla tribù. E parlava anche, al contrario. Se diceva di esser felice, era scontento. Se diceva di avere fame, era sazio. Se diceva che il tempo era bello, pioveva a dirotto. Era insomma il controcanto anticonformista della società. Con la sua presenza ricordava a tutti quanto fosse necessario, di ogni affermazione, tener presente il suo opposto, un fatto di relativismo culturale, di punti di vista. Quel che è una fortuna per qualcuno è un danno per qualcun altro. In quel modo estremo rappresentava le diverse facce della verità, e suggeriva che a volte son tutte attendibili, anche se apparentemente in conflitto. In questi soffocanti giorni d'agosto sto rileggendo, al fresco degli albe

Lo scarto

Tutto quello che scrivono gli altri non lo so ma tutto quello che scrivo io è difettoso. Per quanto tenti di trattenerle, le idee si cancellano da sole, le emozioni a raccontarle diventano ordinarie, le scese di cuore balbettii. A poco servono la disciplina, la pratica quotidiana, l'ostinazione a setacciar parole per far cadere sulla spianatoia le più nobili: alla prova dei fatti il risultato è deludente. Molto poco di quello che vibra tra le ossa, i nervi e l'anima finisce per avere una narrazione degna: è tutto sbiadito, tutto le somiglia, alla realtà - ma soltanto grosso modo, come due fratelli che non diresti che lo sono - e niente la tocca. Così l'imitazione di uno scrittore - quella parte che ho recitato fino a ingannarmi, a dimenticare che è una pantomima e a credere di essere colui che interpretavo - diventa l'arte del pressappoco, del bersaglio mancato, della cilecca. Fanno finta le cose di essere come le racconto: sono molto più grandi, molto più strazianti. E

Viaggio in Sicilia

Sto in piedi su un terrazzo dalla ringhiera bassa: questo è il mio primo ricordo di Ortigia. Sotto passano i venditori di panelle, i carusi dalla lingua stretta, i lenoni che smontano dopo una notte di amori procacciati. Dalla pasticceria ad altezza strada salgono odori di pistacchio e mandorla, di cannoli di pastafrolla. Eccomi, sono qui fuori a prendere il fresco - rispondo a chi mi chiama dal tinello, poi scendo a comprare un vassoietto di dolci. Torno e i miei abiti sanno di ciambelle fritte e nella luce della finestra, che dilaga sul pavimento e taglia la stanza in due metà, aspetto che mi vengano a prendere per andare a Catania. Alla Feltrinelli tra qualche ora racconterò un'altra volta, per divertimento, le avventure che stanno dentro l' Apocalisse in pantofole . È il 2010, ho 43 anni e una discreta scorta di presagi cattivi in testa. Quel viaggio in Sicilia fu come salire sulla macchina del tempo. Una notte sognai di essere tornato indietro di vent'anni e atto