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Visualizzazione dei post da ottobre, 2022

Finché la Parca va

Nel 2017 nella necropoli di Poggio Gramignano* gli archeologi trovarono lo scheletro di una bambina con un sasso conficcato in bocca. La notizia fece il giro d'Italia, ne parlai anch'io in radio e poi d'improvviso (com'era venuta fuori) tutti ce ne dimenticammo. Ricordo però che all'epoca ci ricamai un po' sopra, specie di notte - perché quella è una storia su cui ricamare di notte è naturale. Vale a dire che possiede quella dose di mistero, tenebra e spavento che accende i sensi a un narratore aperto alle ipotesi soprannaturali come me. "Aperto non vuol dire che ci credo ciecamente" - obiettai a un amico che biasimava quella fantasia. "Vuol dire soltanto che non escludo nessuna eventualità". Il motivo della discussione nasceva proprio dall'interpretazione di quel ritrovamento. Tutti e due concordavamo sul fatto che era spiegabile storicamente ma non ci incontravamo sulle cause. Per me esisteva - ed esiste - una infinitesimale possibilità

Scene da un matrimonio

Ogni viaggio che faccio, ogni irrequietezza, finisce per portarmi al mare, dove tutto si riassume, tutto si placa: i tumulti, le ambizioni, la paura che il tempo non basti ai desideri. Una volta laggiù, al confine della terra, la sera si mangia i ricordi ed è come se ciò che ha velleità di memoria fosse accaduto solo dopo le sei di pomeriggio, a ottobre, sulla spiaggia di Tarquinia. In quella disdetta invidio agli animali l'abilità di non sapersi evolvere, fortuna da cui discende l'incapacità di leggere la vita, farne poesia, raccontarla con tenerezza. A noi umani invece, animali eccentrici, tocca in sorte la rielaborazione, e tocca assegnare simboli e significati a eventi che non ne hanno, che sono probabilmente fortuiti, ma che per natura trasformiamo in mito. Quando il sole mi cala alle spalle, si riflette sullo specchio retrovisore e mi fa stringere gli occhi, e ho già superato Tuscania, là dove continua la campagna etrusca fatta di colline a forma di seni come se tante gig

Dimmi per che cosa ridi

Lo chiamavamo  dopopranzo , tutto attaccato, e non è che lo scrivessimo, suonava attaccato a pronunciarlo, e come tale, sgrammaticato, trent'anni dopo lo rivendico. Non ricordo chi fu il primo a inventare quel nome così soave - che del resto era anche una dimensione, una pausa filosofica; probabilmente uno dei vecchi di casa, un patriarca a cui il pranzo sì stava a cuore ma per il dopopranzo, per continuare ad  abitarlo  a quel modo tutta la vita, avrebbe fatto carte false. E ci teneva, quel vecchio a quell'intervallo perché là dentro si vuotava il sacco, ciascuno a suo modo; ciascuno a suo modo inorgogliva la realtà rendendola degna di essere svelata, e ascoltata, che poi è quello che fanno i narratori fin dalla preistoria. Una condivisione di contrattempi, ecco di che parlo, che a quel liquefarsi in storia collettiva s'istupidivano, s'annacquavano come il vino di certe osterie; e pure di circostanze comiche di conoscenti - circostanze involontarie, beninteso, altrimen