Io avrei voluto viaggiare per mare, e forse in un'altra vita l'ho fatto davvero, appresso a un uragano. Così ogni volta che mi imbatto in una storia corsara mi incanto: L'isola del tesoro, per dire, credo sia il più bel romanzo mai scritto, l'unico che ho letto due volte, ora e da ragazzo, come tornare pentiti dal primo amore dopo aver capito che nessun altro lo vale. M'innamoro dei libri ma li tradisco, abbandonandoli per altri e poi chiedendo loro scusa. Soprattutto con quelli marinari fatico a esser fedele, perché l'oceano oltre che attrarmi mi fa paura e ogni tanto devo scendere dalla nave. A Farfa ieri, terra di monaci e incunaboli, m'è presa un'altra infatuazione. C'era Liberi sulla carta, fiera dell'editoria indipendente (dove fiera oltre che per nome va inteso per aggettivo, visto il giusto vanto dell'editoria libera dalle logiche del mercato) e ho trovato un romanzo breve che racconta il dopo della Mary Celeste. Lo ha scritto sul ponte di una baleniera - garantito, come Ismaele - Daniele Picciuti, per Dunwich Edizioni. Per chi non lo ricorda: la Mary Celeste era un brigantino canadese che nel 1872 fu ritrovato al largo delle Azzorre senza nessuno a bordo. Era in buono stato, a parte la mancanza degli strumenti di navigazione e l'assenza dell'unica scialuppa di salvataggio. Per anni ci si chiese che fine avesse fatto l'equipaggio: tutte le ipotesi, tutte le ricostruzioni, non furono mai confermate da una sola prova. Conoscevo per sommi capi la storia - letta in qualche enciclopedia del mistero, - sufficientemente sinistra per non uscirmi mai del tutto dalla memoria. Qui Picciuti immagina che la Mary Celeste ritrovata dallo scrittore Clive Cussler al largo di Haiti nel 2001 non sia la nave originale. E quindi che il vero brigantino sia ancora in viaggio nel Mar dei Caraibi, e che nasconda un orribile segreto. Partono alla sua ricerca quattro persone, e l'avventura, in un modo o nell'altro, cambierà per sempre le loro vite. Di più non vi dico, manco se mi venite sotto casa promettendo di suonarmele. Leggetelo: merita. Si assapora l'odore salmastro delle pagine di Conrad, Stevenson, (appunto) e naturalmente Melville. E scusate se è poco. In sottofondo, per costruire l'atmosfera adatta, consiglio Marinai, profeti e balene, burrascoso - e meraviglioso - album di Vinicio Capossela. E la sera, posato il libro, mettete nel dvd Fog, di Carpenter o Master and Commander, di Peter Weir. A seconda che preferiate la fantasia del mare o la sua realtà.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post