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Visualizzazione dei post da settembre, 2018

L'imperfetto

Ho corteggiato per così lunghi anni la perfezione, che solo di recente mi sono accorto che non esiste. Credevo fosse un'isola dove poter sbarcare dopo aver fatto il giro del mondo, e lì metter su casa, e una volta iniettato cemento armato nelle fondamenta nulla l'avrebbe scossa. Invece. Invece non solo non è mai nata ma il suo contrario - che ho sempre considerato una mutilazione del talento - è probabilmente un valore. Da che scrivo - con umiltà, cento difetti e un pregio - mi sono ogni volta rammaricato di non aver centrato bene una storia, di aver usato una parola al posto di un'altra - naturalmente migliore ma venuta dopo, a libro edito, e quindi troppo tardi, - di aver creato confusione attribuendo a un personaggio gesti e umori riservati due pagine prima a un altro. Maturando - o come direbbe malignamente mia figlia invecchiando - mi persuado che l'imperfezione è il sistema migliore per raccontare il mondo imperfetto che abbiamo. È una questione di sintonia, ins

Così fan le donne

Ho aspettato minuti che sembravano giorni, anni che adesso sembrano attimi, e se volessi insistere nel luogo comune ore che somigliavano a stagioni. Aspettare: che verbo sorprendente. Lo carichi nel tuo alfabeto e lui racconta con lo stesso piglio quando stavi sulle spine per un emocromo e le volte che lei ti disordinava il tempo, rompendolo e riaggiustandolo a suo vezzo, e a te toccavano speranza, godimento e tortura. Così fan le donne, che impastano i tuoi desideri nei loro confronti con le scaglie di lucertola, l'umore di una naiade - perché loro sono maghe - e ne fanno essenze da bruciare, e colonizzano la tua vita, e danno il ritmo al sesso, che come tutti sanno è amore + gioco. Funziona così: se tu ne hai voglia ma loro no puoi anche morire; se ne han voglia loro e tu mica tanta per via che in tv c'è Starsky e Hutch ti tocca darti da fare. Matriarcato del talamo: dio le benedica. Non vorrei divagare, però, e allora - dicevo: - aspettare . Ho questa idea per cui se mi

L'inizio

Settembre è un posto e Siracusa un tempo, e il vento greco che soffia a Ortigia un alfabeto primordiale di genti solo in apparenza estinte, lo stesso delle volte che davanti alla cattedra provavo a coniugare l'aoristo senza scendere sotto al sei, che provavo a recitarlo senza esserne degno. Certi scherzi dei sensi, certe sinestesie acrobatiche, si fanno largo tra quel che avrei voluto scrivere oggi - che non ricordo più cosa fosse, - e si impossessano di tutto lo schermo. Arrivano così a tradimento i voli autunnali in Sicilia, il primo con te che stavi morendo, il secondo al laccio di un'euforia che avrebbe prodotto una gran mutazione  - come un libro leggero che si ispessisce di significato. Ecco che mi chiamano scrittore , ecco che mi viaggiano fino a Palermo, fino a Ragusa e Scicli, ecco che lambendo l'Etna me ne intenerisco, per il ricordo della scalata del '78, ecco che al ritorno, nel buio del sedile di dietro, tu mi dici Voglio tornare come ero. La mia prima

Panfilia

Riecco la memoria della culla, mannaggia. Per quanti giri faccia attorno al mondo - che in realtà son giri appena fuori dalle mura - ricasco a ogni ritorno dentro la teglia della mia città, e ne esco bruciaticcio per il troppo amore, come le mani che afferrano una teglia vera dentro a un forno. Oggi a galla ci torna una cartoleria: stava dove adesso c'è un uomo che vende gioielli, e non so se è una metafora della decadenza del romanticismo, o cosa. Le spettre sere d'inverno, fumanti dell'alito di anime in pena, tra via XX Settembre e i vicoli emissari che si ramificano fino all'acropoli stagnava una melma nebbiosa, letteraria - presagio, chissà, del mio povero mestiere. Era in quel preciso istante che uscivo, con un pretesto. Rita a quell'anarchia diceva Dove vai con questo tempo? e io Proprio incontro a lui ! e mica capiva: mai. Del resto chi ne capisce di pazzia, tra i savi? Ho bisogno di una matita! , strillavo già sulla porta, e se dovevo per forza giustifi

Amor bifronte

Io di quella città ricordo il dolore lancinante, a otto anni, per un guaio che ho poi scoperto si chiama parafimosi, il sangue sulla lettiga, l'anestesia che non mi fecero, l'alcool sulla ferita viva, il bisturi che rifletté la faccia di Rita dietro il carnefice, e il sospetto di essere stato squartato. Invece mi ricucì, quel macellaio, e a gambe larghe sparai perfino, quello stesso pomeriggio, contro certi barattoli al Luna Park, beccandone mezzo. Ne ho visti di posti incistati a strafottenza sulla pelle del mondo, ma lei li batte tutti. Mi sfiancava da ragazzino e mi sfianca da vecchio, a camminarla e a pensare di andarci. Per questo la frequento solo se devo, e a piccole dosi. Pure l'ho amata quando mi sembrò smisurata prigione, asfissia, con tutti quei caseggiati enormi eretti a palizzata, i murales che rifanno Pazienza all'avvicinarsi delle stazioni, il dermatologo cercato per un pomeriggio intero in un intrico di quartieri, i viaggi con Pietro, in curva nord o

Dieci per cento

Ho scoperto una crepa nel progetto di dio, volevo essere il primo a dirvelo. È successo stanotte, che  abbaiavano i cani sotto l'albero d'uva, e l'istrice si avvicinava alle case, e l'insonnia mi ha fatto visita alle tre, mi ha affacciato alla finestra, e c'era l'istrice, e c'erano i cani. Ha acceso una luce, l'universo, nell'incavo tra due colline - dieci chilometri in linea d'aria - e ho vista colare una cosa densa come il miele dal cucchiaio alla terrina, filamentosa, e poi spegnersi all'orizzonte, barbagliando. Dio stava orinando, io credo; si sveglia a quell'ora e la sua prostata millenaria urla, e si svuota sul mondo. Così ho avuto la prova che siamo la sua ritirata, un destino come un altro, se solo si fosse premurato di dircelo. Lì ho pensato alla vita e alla morte - niente di meno - a quanto sono dissimili, una gonfia , piena di tutto, l'altra vuota delle stesse cose. E gli avrei chiesto, se si fosse trattenuto ancora un p

Il terrore

E allora tutti quei secchielli sepolti ad agosto, le fate di pasta modellata nei negozi bui, le plafoniere cieche, le scale senza chi le discende, gli avvisi antincendio senza lettori, le macchine del caffè che non sbuffano, i depliant di Gardaland, i tavoli sparecchiati, esistono o non esistono? D'inverno, dico, che gli alberghi chiudono e il mare smonta il teatro e va a dormire. Lo senti - se ci torni a tradimento verso dicembre - che russa e sospira, e vedi che sciacqua la spiaggia con la coda, come fa chi nel sonno scalcia lenzuoli. È un mostro in letargo, imponente, briga per la stagione bella ai nostri danni - lì tra la sabbia e le case bianche colla scritta Affittasi nei mesi estivi . Non c'è nessuno a sfidarlo e lui aspetta, coi suoi abissi omerici, le allegorie che inventiamo per recintarlo nella ragione, gli spaventi di fantasia, tipo immaginare leviatani inarcare il dorso se solo nuotiamo fuori delle acque sicure. Così è questo il nostro errore: la pretesa di gest