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Visualizzazione dei post da novembre, 2015

Prove certe dell'esistenza dell'uomo

Il centesimo spettatore non entra perché i posti  sono novantanove, non si deroga. La cifra tonda è una banalità non contemplata: l'ultimo numero dispari a due cifre ha bellezza e mistero, come la mia vita, se ci penso, che s'era immusonita e adesso canta. Monte Castello di Vibio sta all'Umbria come una goccia d'oro a una fontana: chi la trova è fortunato. Perché sta così vicino che non la vedi, e questo è un peccato. E per trovarla tocca cercarla, non andare a caso. Io che andare a caso è la mia passione, stavolta mi son dovuto imporre disciplina; ho spento le smanie, messa poca benzina - così non mi lasciavo prendere dall'idea che un posto bello sia necessariamente un posto distante - e fatto 47 chilometri. Una domenica come ieri in cui tutte le cose pendenti - il granuloma, la tassa dell'immondizia, il commercialista - sono per un giorno prive di peso e il viaggio è fatto. 50 minuti a velocità di crociera: vado piano per far contente le mie ragazze. E una

L'amore coniugale

Che è una gran fatica e un gran divertimento, un lavoro, un impegno della madosca e uno sballo. Che è uno scazzo di attese, piedi freddi, pastasciutte sciape, leggendarie copule in alberghetti al mare che gli amanti se le sognano, corteggiamenti in pizzeria, che film vuoi vedere? e poi si addormenta sui titoli. Che è predicare male e razzolare bene, che è toccarla con una scusa qualunque tanto perché non puoi farne a meno, baciarla, morire se non ti bacia da dieci minuti. Che è bisticcio, frecciatine, tenere il broncio, voler l'ultima parola, poi morire un'altra volta se non ti sorride. Che è due ore per andare a Viterbo perché guida lei e se la fa tutta in terza e non farglielo notare, e metterci 38 minuti al ritorno quando guidi te, ma lei te lo fa notare. Che è non guardare nessun'altra perché nessun'altra è un paragone, ha il suo profumo, i suoi occhi quando ti vuole e fa quegli occhi lì che tu solo sai e ci scriveresti un altro romanzo, e nessun'altra ha il s

Anticorpi

Che ci colpiscano e sconvolgano più i morti di Parigi che quelli in Siria non è perché siamo disumani, o razzisti. O meglio: qualcuno di noi lo è ma non è questo il punto. Credo invece che la cosa abbia a che fare con il concetto di prossimità. È la stessa cosa se muore uno che conosciamo: ne siamo turbati perché abbiamo avuto un qualche rapporto con lui, ci abbiamo scambiato quattro parole al bar, gli stringevamo la mano a Natale. È chiaro che i morti sono tutti ug uali, per il semplice fatto che gli uomini sono tutti uguali. Ma i morti di Parigi sono gente più vicina a noi, l'abbiamo in un certo senso più in confidenza, è come se fossero sul nostro pianerottolo, la gran parte di noi magari è stata in Francia, ci sono affinità etniche e culturali, guerre di liberazione fatte insieme, parentele cinematografiche, rivalità gastronomiche e calcistiche, e sono tutte cose che legano. Ecco perché ci intristisce di più la notizia degli attentati di Parigi. Non siamo most

Calcata, il borgo della speranza

C'è un'Italia bella e coraggiosa da cercare, trovare, e una volta che l'hai trovata passarci dentro qualche ora e tornar via con dispiacere, l'anima in modalità sollievo e qualche foto. Succede ieri a Calcata, - scrivo al presente perché ancora mi sosta in petto la bellezza - corona di tufo sopra un promontorio medievale che parcheggi lontano e te la fai a piedi: in discesa ad andare, in salita -  rasserenato da quel che hai visto - a tornare. Il clima è perfetto, sembra che regni maggio anziché novembre, e cordiali le facce della gente che si tira su da sola, apre camicerie hippie e bric-à-brac e sopravvive, e coltiva il bello e l'utile insieme perché si può, alla faccia della politica e della sua distanza dalla verità. Qui c'è verità, e se hai pensato fino ad ora che da questa nazione te ne vorresti scappare, in posti così ti ricredi, e lanci la tua sfida: un altro libro, altri laboratori in cui dare dritte per romanzi, altra sfrontatezza e libertà. Ragazzi

Insonnia

Quando nasciamo facciamo presto a impratichirci del mondo, ne impariamo l'alfabeto in fretta, così che se dico a mia figlia Vado a prendere una cosa in macchina lei capisce al volo perché sa il significato di andare, prendere, cosa e macchina. Non so se gliel'ho insegnato io, se gliel'ha suggerito il tempo o se ce l'aveva nel dna, per cui ha dovuto solo recuperarlo da un sottoscala. Crescendo scendiamo a patti con il linguaggio che troviamo, non ci chiediamo se sarebbe meglio correggerlo, se a imporne uno nostro tutto nuovo a quelli che ci mettono al mondo ci capiremmo meglio. La lingua dei figli invece che dei padri: sarebbe forte. Faccio di questi ragionamenti scoscesi alle due del mattino, nell'ampolla d'insonnia dalle pareti di vetro infrangibile che talora mi contiene, implorando agli spiriti della notte - ce ne sono alcuni nella mia camera alle prime armi, vergognosi di mostrarsi di giorno - un'elemosina di sonno. A quell'ora non sono sveglio