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Visualizzazione dei post da novembre, 2021

Dio? È di sinistra

A mezzanotte i musicisti escono dal locale per fumare e riprender fiato. Bevono disordinatamente mischiando birra, whisky e vino, parlano del concerto, sono lucidissimi, tireranno tardi mentre io casco dal sonno. Hanno appena finito di suonare, io e mia figlia di mangiare e starli a sentire: dio se son bravi. È la mia vita, questa frequentazione di artisti, il mio destino. Non riesco a star lontano dai posti dove si canta, si spacciano libri, si recita a soggetto: è talmente la mia vita che ne ho fatto un mestiere. Anzi: più d'uno. Vado a far la spesa grazie a De Gregori, cambio la batteria della macchina per buona grazia di Umberto Orsini, passo una settimana al mare per intercessione di Cardarelli. Mi pagano per parlarne in radio e per raccontarli in pubblico, e fortuna che mangio come un uccellino e prenoto sempre la mezza pensione, o il denaro non basterebbe. Ma tant'è, tutto questo trambusto somiglia alla felicità e la felicità è meglio di niente. È successo che un po'

Tra le voci

Mi son svegliato con questa fissa in testa: Devo scrivere del Natale della mia infanzia , ma cosa posso scrivere di quell'epoca lì che non abbia già scritto fino alla noia? Il guaio è che di questi tempi - ogni anno, verso gli ultimi di novembre - mi afferra la nostalgia più spietata di tutte: quella che non posso soddisfare. Per tornare al 1973 mi servirebbe una macchina che non hanno ancora inventato, o un sogno così vivido come non ne ho mai fatti. Né aiuta imitare i preparativi che si facevano allora: comprare gli ingredienti per cento pampepati, ordinare il macinato a grana fina per i cappelletti, controllare che le lucine dell'albero si accendano dopo un anno passato nelle valigie, farsi portare dal facchino con l'ape i quintali di legna necessari a scavallare gennaio. Di cento pampepati se ne sprecherebbero novanta: siamo rimasti in così pochi che potremmo festeggiare il Natale dentro una macchina. E anche di tutto il resto non c'è più la gente che se ne occupav

Alien

  Tra un milione di anni qualcuno con occhi più acuti dei nostri guarderà la terra e vedrà le cose per cui ci siamo tanto dannati morte lì, in un angolo. Passerà un'astronave e farà un rumore di soffio, come di capelli sfilati dal pettine, e lo spostamento d'aria le farà ravvivare - dopo tutto quel gran tempo immobile - come le scaglie di fuoco sotto la cenere. Prima dell'estinzione un uomo di buon cuore, con le  forze che restano e una scopa gigante, le avrà radunate assieme, per fare un po' d'ordine, e sarà stato quello, finalmente, l'ultimo gesto dell'umanità. Là nel cantone, gli occhi marziani faranno caso alle bugie, alle imposture, ai giochi di potere della gente comune, più che alle atrocità della storia: avranno quell'istinto esatto. Vedranno quando mi hai tradito, amore, e hai passato il fine settimana con un uomo che non ero io. Vedranno quando mi hai deriso, padre, davanti agli amici in combriccola. Vedranno quando mi hai elogiato, amico, perc

Vecchi amici

Stanotte sotto casa mia, seduto sul cordolo di mattoni che cinge il parco dei partigiani, c'era dio. Sono sceso in ciabatte, scarmigliato, e alle due e venti del mattino ci siam messi a chiacchierare come vecchi amici. Si è scusato per l'improvvisata, dice che l'ha deciso all'ultimo, di raggiungermi, e che fino al giorno prima aveva una mezza idea di fare un salto al mare. Poi però pioveva e ha cambiato programma. Già che c'era, aveva da chiedermi una cosa - una cosa lui a me, roba da matti - e io malgrado il sonno ho spalancato le orecchie. L'ha presa alla lontana, così mi è parso. Ha detto Stai tranquillo che per tutti i giorni storti, cattivi e strani ti spetterà una ricompensa. Mica avrai pensato che il dolore è un vuoto a perdere? Poi quando ha visto che ero rassicurato è andato al punto. Però , ha detto, però: senti una roba . E si è avventurato in un ragionamento più grande di lui, tanto che certe parti le ho afferrate e certe no. Ho capito che si stava

La febbre del caffè

Ho conosciuto un uomo che fa un mestiere minuzioso, non saprei definirlo in altro modo. A Roma, in una traversa dietro piazza Navona, c'è un bar dove questo signore - che avrà la mia età e agisce con uno scrupolo che forse io non ho mai avuto per i mestieri che ho fatto - misura con una sorta di termometro sottile la temperatura del caffè. Prima che venga servito, inserisce nel caffè già in tazza la punta di quel suo stiletto e in un paio di secondi legge i gradi sul display. Se non sono quelli pretesi dal cliente, lo fa scaldare o raffreddare dal barman quel tanto che basta a renderli perfetti. Indossa dei guanti di lattice e dopo ogni misurazione sterilizza quel suo aggeggino sotto un getto di vapore bollente. Fa tutto a una velocità sorprendente, dovreste vederlo. Nel tempo che io ci ho messo a scrivere queste quattro righe avrebbe potuto compiere quell'operazione una ventina di volte. Si è sparsa la voce, mi raccontava un amico, e c'è sempre la fila. Prima era una moda,