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Visualizzazione dei post da agosto, 2018

L'antidoto

C'è stato un tempo - io ero già vivo - in cui le parole uscivano disarmate dai ragionamenti, e si fermavano ben prima di azzuffarsi con altre, in un campo magari - se s'era deciso di arrivare fino alla fontana di Santa Rosa a digerire un pranzo sfacciato -  e volavano intorno come farfalle, e si sedevano in cerchio come le fate, e insomma poi ognuno si riprendeva le proprie senza che sanguinassero, e si tornava a casa leggeri. O attorno ai tavoli dell'infanzia - sempre quelli in appena tre o quattro case differenti - mentre si sgranavano legumi si usavano per raccontare. E ricordare,  per intenerire, perfino, e proteggere. Poi dev'essere caduto un meteorite, o il pezzo di un dio perverso sopra la terra - un femore, le tonsille - e siamo mutati. Forse lentamente, che è il fatto per il quale non ce ne siamo accorti, mentre accadeva; oppure sì, ce ne siamo accorti, ma non ce n'è importato, che succedesse pure. Ora siamo ostili, viviamo tutto il tempo in trincee oppo

Il libraio romantico

Pietro esprime un desiderio - Vorrei un libro di poesie di Cardarelli, mi ci riconosco assai - e dato che è forse la seconda volta in cinquant'anni che il desiderio è indirizzato a me, mi metto in moto, credendo che sia facile da esaudire. Scopro invece che la Mondadori non ristampa più il poeta di Tarquinia dai tempi in cui era ancora vivo, grosso modo, e così decido di andare alla fonte: fare un salto nella città etrusca e vedere che succede. Trovo il Punto Einaudi, la libreria più scintillante in zona, e pure un fiocco rosa sulla serranda chiusa: qualcuno deve aver figliato proprio oggi che arrivavo io. Auguri di cuore, ragazzi: mi avete messo in un mare di guai. Non mi perdo d'animo e vado a memoria. Sei anni fa a un paio di isolati dall'hotel Tarconte c'era un bugigattolo di libri usati: a gestirlo un vecchio ossuto e sapiente che si teneva su coi fili. Ci comprai Simenon e qualcosa di Vittorini, e forse anche un paio di Almanacchi Topolino del settantadue. Scopr

La mia stanza

Quando la notte passa tra le case, sui tetti, e col mantello che porta spegne le candele come noi facciamo colle dita umide, e versa il suo inchiostro su tutti i miei sogni: ecco, è allora che arriva la paura. Le inezie del giorno - i sospetti d'essere stato frainteso, le gelosie controllate, l'ansia per l'emocromo - diventano giganti, imperversano nel petto, e s'acquartierano dentro l'anima. Lì tutto è spaventosamente invincibile, e sarei tentato di scendere a patti con qualunque minaccia pur di ridimensionarla, ma loro non trattano, sono un buco nero che mi inghiotte. Succede oggi - per buona sorte solo a tratti - e succedeva sovente al tempo della svampita fanciullezza, per via che la mia stanza aveva due porte, da una entravano gli incubi dall'altra certi fantasmi senza volto che assistevano feroci al delirio. Fino al 1983 ho dormito in un corridoio, disimpegno tra la cucina e la camera di Rita e Pietro, e se oggi gli sono grato perché mi dà modo di recuper

Il fine settimana perfetto

Verrà il giorno - anche se il tempo lo chiameremo con altri nomi - in cui dio mi ordinerà di mettermi seduto - ammesso che avrà ancora senso un gesto del genere - e mi spiegherà cosa intendeva lui per speranza - posto che lui e io quella virtù l'avremo sempre detta con parole differenti. Perché l'alfabeto di dio mi sa un canto babilonese, una litania araba, uno scioglilingua azteco: tutta roba che non comprendo, che suona marziana e migrabonda dentro la mia testa, come le nuvole di Montale sopra la Corsica e Caprera. Io, per dire, la speranza l'ho spesso contrabbandata per mutazione: tutto quel che cambia cambia in meglio. Ora so che era una avventata ingenuità - quando la mia vita è cambiata, è cambiata malamente - e so anche che ripetere ogni giorno gli stessi movimenti, auspicarsi che la salute resti di ferro e giusto un poco di fortuna in più, può anche non essere la peggiore delle sorti. Ciònontoglie che lavoro sodo più di quanto pensiate per incastrare dentro la rou

Questa è la prima cosa

Ah che boato, che felicità, quando leggevo - non ricordo di aver mai fatto altro con tanto accanimento, in gioventù - e scoppiava il temporale. D'agosto, dico, che la grandine crinava lo spessore di canicola come un vetro preso a sassate, e Rita Corri! Chiudi le finestre! urlava, e io allegro, masticando parolacce, eseguivo. Lo scrivo così, scapicollando ricordi, perché allo stesso modo, scapicollandomi per casa, per le stanze, fradiciandomi, sprangavo tutto, e poi rifiatavo. Hai staccato l'antenna della tv? no, quella no, l'avevo dimenticata. Mai però che un fulmine la bruciasse, eppure era obbligatorio scollegare i cavi, ogni volta. Andava via la luce, poi tornava, e quando tornava e il finimondo sembrava placato mi veniva l'estro di uscire. Narni aveva sempre quell'aria da aristocratica in bolletta che sotto la pioggia diventava romanticismo. Una città del nord Europa in miniatura, sembrava. Nel 1982 c'era un negozio di dischi in fondo a Piazza dei Prio

Disobbedienza

Ho conosciuto la primavera un pomeriggio che non ricordo per quale fantasia spalancai una porta a Sant'Anna e me la ritrovai tutta attorno. Al doposcuola le suore ci portavano in un'aula differente; quella della mattina dava sulla pianura industriale, per il tramite di una finestra che era vietato aprire, come un varco per altri universi. Quella del pomeriggio su un cortile interno con un muro di mezzo metro a contenerlo, e sopra un orto a terrazza e certi alberi fioriti - mandorli e noccioli - a rubare terra al radicchio. In alto - un alto così alto che a me pareva altissimo, per via dei miei otto anni - Narni si raccontava in salita, una casa sull'altra,  tipo il lavoro di un manovale gigantesco che avesse posato una pietra sopra quella precedente, più in basso; e quelle pietre si tenevano insieme per miracolo, io credevo, e non capivo come mai non mi cadessero in testa, in mezzo a tutti quei colpi di vento. Andavo di rado al doposcuola, ma non mi dispiaceva. Già allor

Fiiiiiiii!

Appena piscia 'na gallina, va via 'a luce! Quando imperversava un temporale estivo - come adesso che ha stiepidito casa e raffreddato i bollenti spiriti di chi l'abita - Gino se ne usciva con questa nota di classe, che a Narni ha però il pregio di essere sostanzialmente vera. Cercava una candela, i fiammiferi, una torcia, una fiaccola, e se gli facevamo notare che era agosto e ci si vedeva lo stesso, si piccava assai: E se non riviene manco pe' stasera? Stare senza corrente aveva il vantaggio di incupire le stanze e accendermi la fantasia. E far venire l'estro - a Gastone, Pietro e la loro banda di amici matti - di progettare una notte in bianco per doppiare l'ultimo film girato assieme. Oh sì, facevano cinema , non ve l'ho mai raccontato? Non documentari - certo, anche quelli, sta bene - ma proprio roba tosta, fiction. Corti, come li chiamano oggi. Gastone, Ennio Santarelli sceneggiavano. Pietro, Fulgenzio Fociani e Ennio medesimo recita

Otto libri al giorno

La mia anima perversa - sempre convinta che il viaggio sia un ritorno più che una scoperta - per la contentezza di aver ragione ha fatto le capriole anche a Recanati, dopo che senza ritegno s'era esibita in piazze e spianate di castelli insistite. Insistite, dico, dalla cerca che faccio dei posti già battuti in epoche altre; quanto alle capriole, non le vedete ma vi garantisco che mi dà filo da torcere, quella malnata, quando salta come un canguro e euforica squilla addosso al cuore tipo la pallina del flipper sui campanelli, e lo manda in extrasistole. Siccome ce lo so che fa così quando è mestamente felice, la lascio scapricciare, rallento il passo e respiro tutta l'aria che trovo, che del resto dalla gelateria ai margini delle mura - dove c'hanno un cioccolato Cuzco che ripartirei da Narni adesso - fino a Casa Leopardi mi sembra più pulita che altrove. Sono entrato a casa di Giacomo tre volte, negli anni, ed è l'unico palazzo dove si paga in cui ho messo piede cos