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Visualizzazione dei post da luglio, 2020

Bonus coltura

Io sono padre e madre assieme, come Princesa è pecora e vacca in quella canzone di Faber, e come lei mi vorrei far pagare per tutto il lavoro sfiancante che faccio, per quell'andirivieni sotto i portici dei supermercati, per l'ansia che si mangia i contorni della sera e quando la notte arriva è tutta inchiostro, è tutta una battaglia contro la paura di un accidente in agguato. Lavoro ventiquattr'ore al giorno tutti i giorni da diciannove anni senza nemmeno un rimborso spese, interpreto due parti su un palcoscenico sconnesso, sono premuroso e brusco, risoluto e tenero, vorrei avere tutto sotto controllo, tanto che non disprezzerei che mi nominassero amministratore delegato dell'azienda. Perché quello è: un'azienda fatta e finita. Purtroppo senza fini né speranze di lucro. Gestire un figlio: altro che gestire il budget, giocare in borsa, diversificare gli investimenti. Gestire un figlio è a vita, e capisco chi non ne ha e non ne vuole. Ogni silenzio è un lascito d

Marameo!

Che strana che è questa estate: c'è ancora il campionato, il caldo è sopportabile, ho mollato il cortisone e respiro lo stesso, organizzo gite fuori porta, vado a scuola di leggerezza, la sera fumo sigarette artigianali e scrivo come Salgari di posti che non ho visto mai. Che bello il coraggio, che guerra necessaria quella contro la paura! Ancora non lo so se l'ho vinta o è solo un armistizio questa stagione in cui scendo a patti con le cose che spaventano, le prospettive dei malanni, le bancarotte sentimentali. Perciò credo che sarebbe una buona idea, per guardare tutto dall'alto, se mi costruissi una mongolfiera. Non se la comprassi bella e pronta: se la mettessi insieme da me, perché vorrei avere il tempo di rendermi conto della fatica a fabbricare una cosa che ti salva. Il cesto, il pallone cucito con gli scampoli, il fornello, i tiranti, i sacchetti di sabbia. Ci saranno pure da qualche parte piste di decollo e atterraggio per palloni aerostatici. Ci voglio andare,

Santa Severa

Il brasiliano è un portoghese che al momento di partire da Lisbona diede le spalle alla città. Non vedendola allontanarsi, rimpiccolirsi, non ne provò mai nostalgia e già prima di arrivare in sudamerica l'aveva dimenticata. Chi parte guardando la città che lascia, invece, è un irresponsabile che si condanna per sempre alla tristezza. Quei vicoli e quel mare di porto saranno tutta la vita con lui, ovunque viaggi, in qualunque modo invecchi. Nelle conversazioni troverà il modo di tirar fuori, prima o poi, quella mancanza, il racconto della parte di sé lasciata a casa, la luce di quel mattino che salpò, il rumore dell'oceano sulla chiglia. Lo so perché faccio lo stesso da che campo, o almeno da che ho memoria della memoria, della sua crudeltà. Non sono mai stato in Portogallo ma ci voglio andare perché è il paese del Fado, che è la musica più intrisa di struggimento che conosca. Già mi attira di meno il Brasile, è un fatto di indole: lì ci sono troppi colori, l'emigrante po

La resa

Compro una bustina di tabacco, cartine Rizla e zolfanelli e viaggio da solo per la campagna, a corteggiare la malinconia. Le poche volte che fumo mi piace farlo senza dar noia a nessuno, così cerco una roccia in un sentiero, una panchina in un bosco, su cui posso sedermi e far finta di avere il vizio. Che in realtà non ho, anche se ho sempre pensato che i previdenti un qualche difetto debbano pur coltivarlo, per opporlo culturalmente ai salutisti ad oltranza, agli ipocondriaci da manicomio. Porto con me Lettera di una sconosciuta , di Stefan Zweig, perché è tascabile e perché ha solo settanta pagine, così lo finisco tutto in una volta e non devo tenere a memoria la faccenda. La mia memoria zoppica, negli ultimi tempi. O meglio: si è fatta selettiva, conserva ciò che le fa comodo, ciò che le piace, il resto lo cancella. Per cui scelgo sempre più volentieri gesti che cominciano e finiscono in un pomeriggio, cosa che mi permette di andare a letto con la soddisfazione delle piccole impr

Sedici stagioni

Abbandoniamoci un po' a questa malinconia. Si annuncia un'altra mutazione, si allestisce un nuovo quartier generale, si trasloca per vivere meglio, in pieno sole e nell'unica città possibile, quella che conserva intatta buona parte della memoria. Però prima dedichiamoci alla tenerezza. Perché ogni distacco che si rispetti è lento, è solenne, e la separazione è in realtà uno sfilacciarsi, non un taglio netto. Quattro anni in collina, sedici stagioni, tempi farciti di stravolgimenti che in comune hanno  lo stesso palco: questo soggiorno buio, questa cucina allegra che dà su un terrazzo quadrato da dove nelle notti d'inverno ho visto i satelliti attraversare il cielo. Ho scritto tanto dentro questo posto che sto per lasciare, ho amato e ho avuto paura, mangiato da solo e mangiato in compagnia, lavato più spesso i pavimenti che i vetri, ho bevuto troppo e poi mi è venuto da ridere, ho letto L'isola di Arturo e Cecità , ho risolto cruciverba senza schema, ho scoper