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Visualizzazione dei post da maggio, 2019

Campare cent'anni

Guardavo la reclame di Mykonos, oggi, il suo mare spudorato, e risentivo l'alfabeto greco dei bettolieri, degli asinai che salgono alle fattorie incollinate mentre in spiaggia scoppia il finimondo, e le discoteche sparano al cielo tutta la musica che hanno, e così mi è venuta la voglia di tornarci. Che la prima volta ero ragazzo, ero appena uscito dalla fanciullezza, e le cose belle non le devi vedere con troppo anticipo, o ti paiono altro. Ho una foto in cui un'amica cattura un gesto mio di tenerezza, seduto su un promontorio incontro al sole calante, in bermuda e camicia coloniale, incosciente di tutto quello che sarebbe stato e perciò felice, la sera prima del traghetto del ritorno, non ancora ammaestrato dalla malinconia che viene quando stai per rincasare. E istintivamente ho frugato nelle scatole di scarpe in cerca di altre storie di quella vacanza sfrontata, e ho ricordato che mi aveva fatto bene sloggiare un po' da Narni, e viaggiare con l'accanimento dei vent&

Il peccato originale

Non per caso, io credo, a Narni il Pincio sta a una curva da porta Romana. Dopo la guerra, mi raccontano, lì c'era in effetti un parco che aveva la tenera pretesa di assomigliare, in scala, al prototipo, e d'estate tanti ci andavano a respirare, a leggere Il Messaggero sulle panchine nuove, e i ragazzi a guardare le impiegate dei notai che rincasavano ancheggiando. Poi ci costruirono un palazzo orizzontale, il giardino fu segato a metà e si perse la profondità dell'orizzonte, almeno da un lato, che l'altro dava sulle gole del Nera e non ebbero il coraggio di scempiarlo. Ci andavamo anche noi, nei primi anni Ottanta, passando tra le sbarre del cancello, larghe: la banda dei miei tredici anni, dico. Ecco chi eravamo: Nando, Pappo, Carla, e Fabio, Sabrina, e poi Bruno, e Tonnarini, che una volta poggiò un occhio sulla punta di un'inferriata, a sfidare la sorte, e noi che lo incitavamo a cecarsi. Vivevamo lì, accampati, gran parte del giorno, il tempo stretto tra la f

Il partigiano

A scrivere, certi giorni mi tenta un libro nuovo, certi altri una storia breve, adatta a questo diario virtuale che si avvicina alle centomila visite, ed ogni volta sono grato all'ospite che non conosco, che entra, legge, s'indigna, commuove, commenta, e se ne va. O magari resta di sale, e mi rimbrotta - per una costruzione complicata, c'è il caso - e minaccia di non cercarmi più, di non comprarmi. In ogni caso, più dei libri che ho scritto - sì certo anche loro, ma di più - mi ha cambiato la vita questo teatro di guerra allestito qua dentro, l'appuntamento settimanale dalla memoria come da una donna di bordello che di me voglia sapere tutto, e me lo estorca, con le sue moine. La memoria in effetti mi spara una lampada in faccia e m'interroga: è una femmina pazza, vuol sapere ciò che già sa, vuole che l'aiuti a ricordare, pretende conferme. E io sto al suo gioco, un po' perché mi piace, perversamente, assecondarla, e un po' perché così facendo verifico

Prima il piacere

Aveva le narici schiacciate, il setto nasale deviato, lo sguardo acquoso: avrei dovuto capirlo subito che faceva il boxeur. Lo lasciai parlare, però, perché mi prese alla sprovvista, e perché ero ancora nell'età in cui la cortesia è un dovere - oggi taglierei corto: è per via che invecchio, probabilmente. Aspettavo una ragazza con l'emozione delle prime attese, dietro il chiosco di giornali di piazza della Repubblica, dove ora ci sono i tavoli di Yogurino e le donne separate fanno l'aperitivo in gruppo. Sei perfetto per salire su un ring - cominciò a dire,  e che avevo le spalle larghe, l'altezza giusta - e se poi sei preoccupato per i colpi in testa e per il tuo bel visino, ti daremo un casco, e il paradenti. Annuivo, ogni dieci sue parole gli facevo di sì con la testa, sì, certo che sì, e gli giurai che ci avrei pensato su, e mi diede il nome della palestra, e io già mi vedevo mille città lontano, da lui e dalla sua delirante proposta. Saranno trent'anni, ormai

Tutto esaurito

Frequenta Narni, Umberto Orsini, l'ha eletta da qualche tempo prima tappa di ogni suo nuovo spettacolo, è successo con Il giuoco delle parti , con Il costruttore di Solness , forse anche con Copenaghen, boh, vatti a ricordare, e comunque la città gli piace, e gli piace la gente. Per giunta va a tagliarsi i capelli dal mio stesso barbiere, e la prima volta che ci è andato - per prendere un appuntamento - gli han chiesto il nome, che non l'avevano riconosciuto. Li ha accontentati - un poco seccato, mi sa -  ma dopo è stato soddisfatto, e del taglio e della conversazione da parrucchieria , che è in fondo anch'essa una forma di teatro. Se fossi attore e mi chiedessero l'identità mi confonderei, temo, tra quel che sono la mattina e chi ho creduto di essere la sera, sui palchi di mezzo mondo, e potrei battezzarmi Stenterello, Iago, Cavaliere di Ripafratta, signor Ponza, Arpagone. E allora confesso che sono tornato a insegnare dopo aver giurato Mai più nella vita perch

Genius loci

Quel gran silenzio acquartierato in casa ho provato a farlo uscire, oggi, spalancando la porta: ha fatto Woof, come l'aria dal tubo delle palline da tennis, e se n'è andato per i fatti suoi, per il mondo. A saperlo l'avrei cacciato prima, ma le sventure hanno i loro tempi, sostano e vanno a capriccio. Magari adesso agguanta certi broker ciarlieri che ti fregano il denaro già che han giurato di moltiplicarlo, e quelli si ritrovano muti, e disarmati. Beato chi li i ncontra da qui a domani, allora, mentre io faccio come il silenzio: scappo dal sotto vuoto e mi arrampico sulle colline attorno, e tutto si placa: i miei nervi, il senso di fastidio per gli uomini, e il pomeriggio prende il colore lucido delle cose al dopopioggia. Vivono due file di case, in uno spigolo della provincia reatina che si infila in Umbria come il gomito tra le reni di una figlia addormentata, che hanno nome di Lugnola . C'è Configni , prima o dopo, a seconda di dove arrivi, c'è