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Visualizzazione dei post da maggio, 2020

L'anarchia degli oggetti

Non tutti gli oggetti hanno la stessa smarribilità. Certi hanno una purezza di smarrimento prossima al cento per cento, certi altri al novanta, certuni al settanta. Come per il cioccolato fondente, la percentuale fa la qualità: più sono smarribili più sono essenziali. Per esempio io perdo in continuazione gli occhiali da sole quando devo guidare, gli auricolari se vado a camminare, il cellulare appena arriva un messaggio d'amore. Così mi lascio abbagliare, m'insentiero nei boschi senza musica e faccio la figura di quello dal cuore di pietra, ma in realtà è solo che le ho perdute, quelle maledette suppellettili. Perché loro tre in particolare - non solo loro, sia chiaro, ma loro in specie - hanno una natura che le spinge istintivamente a nascondersi, a farsi trovare con fatica e poi a scomparire di nuovo - talora perfino appena rintracciate, che le avevo in mano, le ho posate un attimo per lavarmi i denti e non mi ricordo più dove. Ecco il destino degli oggetti dispettosi: ent

Palomar

Gli androni dei palazzi antichi conservano anche d'estate quella frescura muffita che è la loro anima. Anche in pieno agosto, a entrarci è come se improvvisamente il caldo feroce svanisse, e invece di dover aspettare settimane intere per veder passare una stagione, quel salto fosse una questione di secondi, il tempo di varcare una soglia, di superare un gradino. M'innamoravo già da ragazzino di certi atri e cortili, me li andavo a cercare salendo e scendendo le vie tortuose della città, spingevo con forza minuta portoni del Settecento e trovavo così la mia terra di mezzo. Succede ancora oggi che vada per altre faccende e cada nelle fauci della memoria, che come tutti sanno è una bestia graziosa con la bocca sempre spalancata. Ieri per esempio, che rincorrevo un buon dentista come uno appena uscito di galera una donna disponibile, ho attraversato lo stesso confine che negli anni Settanta, dalla mulattiera scabra che è via Franceschi Ferrucci, mi scortava - a mezza strada - fi

Il Fortunato

Ho sognato una follia, nel sonno breve del pomeriggio: provo a raccontarla. Ho sognato che a un certo punto decidevano di non farci uscire mai più perché il virus era tornato, era invincibile. Avevano sperimentato vaccini ed era stato un disastro, avevano capito che a furia di trasfusioni avremmo cambiato il sangue in acqua, che il sole d'agosto e i quaranta gradi fiaccavano l'epidemia ma non la debellavano. L'ultima legge prima della fine di tutte le leggi, prima che venisse abolito il parlamento e dato lo sciogliete le righe, prima che i partiti implodessero sollevando una nube di polvere degna del Krakatoa, fu la scelta del Fortunato. Il Fortunato avrebbe incarnato da lì in avanti tutte le speranze dell'umanità, avrebbe potuto fare quel che tutti gli altri uomini non potevano neanche più rimandare a una data ventura, avrebbe sognato i sogni di tutti - un peso immane sulle sue spalle - e li avrebbe realizzati da solo. Il Fortunato era l'unico essere umano sulla

La specialità della casa

Lo so che in mezzo a questo scempio è un desiderio sciocco, ma mi manca mangiare in trattoria. Una cosa alla buona, una di quelle bianche locande di campagna in cui ti imbatti verso il tramonto di un giorno d'estate, andando a zonzo. Hai appena superato una radura di calicanti - e il loro odore ti ha dopato, e insufflato euforia, e vorresti impoltigliarli e provare a masticarli, così, per amore di un gesto psichedelico - e a chi viaggia con te, e guida scalza, proponi: "E se ci fermassimo in quel ristorante all'aperto?" Lo hai chiamato ristorant e ma è davvero una spaghetteria a conduzione familiare, quattro tavoli sotto un pergolato già apparecchiati con caraffe di vino, perché chi passa di lì capisca che si fa sul serio. Qui si mangia e si beve, o al limite si beve e basta, ma soltanto mangiare è vietato. Al parcheggio, senza i posti segnati, dentro uno sterrato, si sistema la macchina come meglio si può - sotto un platano, per un'elemosina d'ombra. Al