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Visualizzazione dei post da luglio, 2018

Il gioco dell'oca

A Senigallia c'è un negozio di dolciumi che da ragazzino mi avrebbe reso felice, e che oggi mi rende felice e per giunta mi dà di che scrivere, perché da ragazzino non avevo contezza del passato, e di quanto mi sarebbe piaciuto raccontarlo. So che detti così suonano arzigogolato il ragionamento e torbida la frase, ma torbida e arzigogolata è la memoria, che dio la benedica, e io a semplificarla farei un torto. A chi mi legge e a me stesso.  Per cui. Per cui arriva, quella bottega, a una svolta della via maestra -  così la scrivo: perché non ne ricordo il nome, che pure avrà - tra uno slargo dove la sera fanno musica nobile e il chiosco stretto di un giornalaio assediato dalle sue stesse riviste, che ogni volta si fanno più da presso, e pare vogliano spodestarlo e conficcarci al suo posto una bandiera, come in quella foto grandiosa di Iwo Jima. Susi ha ricordato che là davanti, nove anni fa, c'era un clown che gonfiava palloncini in forma di bruco, di muso di gatto, di trom

Tlac!

Il gas nelle bottiglie di plastica pensa bene di scoppiare sempre tra le due e le tre del mattino, appena mi addormento - finalmente - come mi avessero piantato un chiodo in testa. Fino a quel momento scendo a patti con un'insonnia in battere e levare, che quando colpisce mi sfianca e quando solleva mi adagia in un torpore di acqua bassa, melmosa. Il tlac dell'effervescente naturale è secco, uno sparo, rimbomba nelle stanze spente, il buio lo rintocca da una stanza all'altra: Cos'era? Da dove è venuto? Da fuori? Non può essere, la finestra è chiusa . Mi rimetto giù ma l'incantesimo del sonno è finito, e a quel punto, alla spicciolata, arrivano tre o quattro ricordi perenni - come le nevi dell'Himalaya - che sgomitano per comandare. Talora sono giorni di leggerezza e dramma sfiorato, di sollievo perché scampammo un pericolo - io, Pietro, Rita, Clara e Gastone - quelli che camminano sulle pareti; altre volte coincidenze cui non ho mai saputo dare una spiegazio

Autogrill

Viaggiare a 140 e poi fermarsi a mangiare significa fermarsi a mangiare in un non luogo, un posto che non ha bandiera, un porto franco. Parlo degli autogrill, che Francesco Guccini raccontò una volta per tutte - talmente bene lo fece - e che io mai frequento da solo, per via che mi scaraventano addosso una malinconia di distacco che in solitudine annienta.  Oggi mi ci sono combinato, invece, a sostarci per conto mio, di ritorno da Ancona e più su, da Corinaldo, dove tutto è un castello, perfino gli alberghi. Non ho avuto modo di godermela, la sgambata, perché l'ansia l'ha fatta da padrona, ed è stato alla fine un caotico andirivieni di bancomat, trolley, prenotazioni, sprenotazioni, reparti di cardiologia, insonnia, fame nervosa, rotonde che han mandato ai matti il Gps e mare visto solo da lontano. Fare il viaggio di andata in due e di ritorno con l'unica compagnia dei camion a dare l'andatura è appunto un'esperienza di distacco che mi taglia a metà. Per questo a u