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Visualizzazione dei post da ottobre, 2020

Ridere

Una volta un amico mi insegnò la morte. Mi mostrò cos'è, al di là di ogni ragionevole dubbio. Solo che io ero distratto dalle ragazze, e giovane, e non gli diedi ascolto: pensavo scherzasse, o esagerasse. Mi disse che stava per morire e che non gliene importava. Eravamo sulla gradinata di uno stadio, proprio come Billy Crystal e Bruno Kirby in Harry ti presento Sally . Al quarantesimo del primo tempo, mentre tiravano un corner, mi guardò e disse Ho un linfoma, mi resta poco da campare . E però lo ammise con una tale noncuranza, con una tale allegria, che appunto credetti mi stesse prendendo per i fondelli. Giorni dopo, in pizzeria con altra gente, tornai sull'argomento, gli chiesi come gli fosse venuto in mente di giocarmi uno scherzo del genere. E chi scherza? - rispose: È tutto vero . Insomma gli avevano diagnosticato quella schifezza in seguito a certi dolori al petto, tanto che se ne andò nel sonno, neanche un mese dopo. In quelle settimane lo trovai affaticato, pallido

Eredità

È faticoso costruirsi una poetica. E non parlo del mio piccolo estro artigianale di mettere in fila parole come vagoncini di un treno. No. Parlo della poetica che ognuno di noi ha dentro di sé, in eredità. La poetica già: permettete che la definisca così? Magari voi la chiamate indole, carattere, e ho sentito qualcheduno, qualche volta, in qualche parte del mondo, che la battezzava fortuna. Qualunque nome le vogliate dare è sempre lei, è quello che siamo, l'impronta della nostra vita. Il fatto che dobbiamo costruircela da soli e che sia già in noi alla nascita è solo apparentemente un paradosso. Ce l'abbiamo ma è tutta smontata, frammentata, come le tessere di un puzzle. Con pazienza, giorno per giorno, ci tocca far apparire la figura, darle un senso compiuto. Per esempio: il pessimismo che ogni tanto prende il sopravvento davanti a progetti complicati è una di queste tessere, la più scura. Chi me l'avrà trasmessa per via genetica? Quella zia di Monterotondo che girava semp

Le occasioni

La settimana scorsa ho comprato una stufa elettrica su Amazon e ieri me l'hanno portata a casa. Il corriere era una ragazza e aveva un'aria familiare. Quando mi ha detto Non c'è bisogno che firmi, prof: posso farlo io per lei l'ho riconosciuta: era una mia ex allieva. A distanza di sicurezza, le mascherine correttamente indossate, ci siamo fermati a parlare un po'. Prima le informazioni superficiali - la pioggia, il freddo arrivato in anticipo, la necessità delle gomme termiche per le strade di montagna - e poi lei ha preso a ricordare le mie lezioni, e che eravamo proprio giovani: lei una ragazzina, io un professore entusiasta, di primo pelo. Sarà stato vent'anni fa - ho osservato, e lei E chi se lo scorda? Non tanto per le poesie e i romanzi, che mi sono sembrati sempre indigesti, ma per una cosa che una volta le sentii dire, e che con fatica ho messo in pratica . A quel punto mi sono piazzato, tutto orecchi, sull'ultima scala della rampa condominiale.

Il doppio

Stanotte mi sono svegliato alle tre, brutalmente, come se braccia robuste mi avessero scrollato, come fossi su una branda in caserma e un sergente carogna fosse venuto a cercarmi per il contrappello. Era saltata la corrente e ho avuto paura: nel buio talora mi sento soffocare. Ho cercato d'istinto gli occhiali sopra la sedia che uso da comodino: sto traslocando e un pò di cose le ho portate via. Poi dall'altra parte, sul termosifone, il cellulare. Ho acceso la torcia del telefono e col naso sotto le coperte ho guardato attorno. La poltrona coi vestiti, l'armadio bianco, i vetri con le ditate, la scrivania troppo grande per quella stanza: sembrava tutto in ordine. Tutto dormiva, eccetto me. Dietro la porta d'ingresso c'è il contatore della luce: nonostante la notte fosse quieta e senza temporali era saltato. L'ho fatto ripartire e finalmente li ho visti. Sul tavolo stava un ragazzo intento a studiare, tutto storto, di certo infreddolito, con un libro di grammatic

Il varco

Quando non ne posso più, esco di casa e passo il varco. Non devo fare molta strada, sta appena fuori dell'uscio, un centinaio di metri, piegando a destra oltre i cassonetti della differenziata. Lì il sentiero s'impertica gibboso sotto una volta di rami legati come abbracci di amanti e si perde nel bosco. E mi perdo anch'io, e quel perdermi mi rimette al mondo. A volte, ad aspettarmi con una giberna a tracolla, mi piacerebbe che ci fosse Eugenio: è lui che mi ha mostrato il varco. Lo ha scritto dentro alle sue poesie, e giurava che a passarlo ci si ritrova, ed è come rinascere. Altre volte non cerco nessuno, non voglio nessuno tra i piedi, solo il ruscello che scava la roccia, la famiglia di cinghiali che attraversa il sentiero e le combriccole di uccelli canterini sopra la testa. Con le scarpe da trekking delle bancarelle salgo e svolto a ogni cantone  - lì han costruito un pollaio abusivo, lassù han tagliato un albero, ne è rimasto un sedile coi cerchi dell'età - e mi

Io ti darò*

Io spero tu non creda e tu speri che io creda: che belli che siamo, potremmo fare coppia fissa al vaudeville. Tu speri che io creda in te e i sogni che mi mandi, gli acufeni, le voci che mi chiamano nelle stanze vuote, sono razzi di segnalazione, come se mi dicessi Ehi, sciocco ragazzo, sono qui , vieni a verificare . Io spero invece tu non creda che ti restituirò la mia vita esattamente com'era quando me l'hai consegnata: una pagina bianca, un libro senza storia. Non funziona come nei negozi dove noleggi i vestiti di carnevale: gli strappi sul mantello di Balanzone, le macchie di caffè sul corpetto di Colombina, in quegli empori te li mettono in conto. Tu non provare a mettermi in conto, invece, tutto quello che troverai dentro la mia esistenza, che ora è piena ed era vuota. Non pensarci nemmeno. Tutta la farcitura, tutto l'armamentario delle arditezze, non sono opera tua. La mia vita te la puoi riprendere quando vuoi, non ti serve il mio permesso. Ma tieni presente che è

Vento d'autunno

Le stagioni muoiono e rinascono e quando rinascono lo fanno sempre con un difetto, una mancanza. O al contrario con una zavorra in più, un peso imprevisto, un'innocenza macchiata. Così che la sovrapponibilità del tempo è solo un'apparenza, tutto è differente, solo i nomi dei giorni restano gli stessi: i nomi e il nostro modo di contarli. Mi pare allora che esista un conflitto tra quella che è l'impressione che abbiamo, delle cose, e le cose in quanto tali - per dirla con un linguaggio vagamente filosofico. Come si corregge questo difetto? Mi ci scervello da qualche anno, da che ho intrapreso questa faticosa carriera di piccolo narratore di piccole storie, e anche sulla stregua di quel che è successo di recente nel campo da gioco della mia vita credo di esser giunto a una conclusione: ignorandolo. Chi se ne importa se la realtà e la percezione che ne ricaviamo non combaciano: non me ne faccio una malattia. Quel che intuisco è in ogni caso una forma di realtà, la mia realtà,

La sfida

Non ho mai letto una poesia più bella della bellezza di un uomo. E nemmeno quegli scrittori solenni, che hanno sfiorato l'infinito, che mi hanno accartocciato l'anima come si fa col giornale di ieri, hanno mai scritto cose più belle della vita vera, quella fuori dei libri. Me ne sono convinto oggi, mentre Narni si preparava per la notte e sopra il teatro comunale passava una nuvola rosa, tinta dell'ultima luce. Me ne sono convinto dopo averlo sospettato per anni, dopo essermi ingannato a cercare nei romanzi il senso delle cose quando il senso delle cose è per strada. Le facce, le posture, le macchine che salgono la groppa sotto l'arco del duomo, le lanterne che cigolano inchiodate alle insegne dei ristoranti, gli studenti di criminologia che escono dalla lezione serale, Elio Germano che prende il caffé prima dello spettacolo di domani, e di buon grado si fa un selfie con chi glielo chiede: eccola, la realtà. E dietro di lei ecco l'arte, che la imita, la insegue, la