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Visualizzazione dei post da aprile, 2021

Il sarto

  Chi è quella donna nel cui sguardo mi impiglio appena comincia la zona industriale, e cosa diavolo ci fa lì, giusto ai margini del traffico? Come le sarà venuto in mente di comprarci casa? Sto in mezzo alla rotonda e quei tre secondi che ci vogliono per prendere la seconda uscita e sgasare via bastano a incuriosirmi, a tagliarle addosso un vestito su misura. Se non facessi il narratore - mestiere sterile e generoso - probabilmente sarei sarto, e tutto il giorno cucirei stoffe e prenderei misure con le spille in bocca, e assecondando uno sciocco luogo comune mi piacerebbero gli uomini, e impazzirei ad abbinare borse e cappelli alle mie stravaganti creazioni. Invece sono un cercatore di storie, vado in giro col setaccio come Jack London nel Klondike e pur senza il suo talento scavo, scovo, trovo, lavo le impurità e lascio che la pirite scintilli al sole. Quella donna bellissima, fiera, di profilo, seduta su una seggiola di giunchi, ha una vita di cui far vanto, ci scommetto. Lo capisco

Disamore

C'è un attimo preciso in cui lei smette di essere lei e diventa un'estranea. È quando a una tua premura risponde stonata, ti guarda infastidita e in quella fessura che sono i suoi occhi passa la fine del sogno, lo strappo del risveglio. In quell'istante esatto - un istante dilatato a contenere gli anni illusi e le scene madri, gli scazzi e tutte le maldicenze reciproche - arriva il disamore, ed è come scendere da cavallo, come uno sparo a una festa, e da lì in poi riavvolgi il nastro e ti maledici per la tua dabbenaggine. Quando a dolcezza non corrisponde dolcezza sono guai. E sì che ce n'è stata, e provi a convincerti che se non era proprio dolcezza le assomigliava, era un buon surrogato, un'alternativa accettabile. E tiri fuori le fotografie dalle cartelle in cui le hai archiviate, e srotoli la memoria come il red carpet ai festival del cinema, e sopra ci passano le stagioni di festa esagerata, le bugie al lavoro per vederla di continuo e tutti i viaggi in capo a

La tenerezza di dio

Un mio amico, anni fa, si mise con una ragazza bellissima, ma aveva paura di non essere alla sua altezza, e che guardandoli insieme la gente pensasse a un disequilibrio. Rimuginava di continuo su questa cosa, ed era infelice. Non che lui fosse brutto, tutt'altro, ma non sapeva alleggerire, ogni questione sciocca diventava un affare di stato, ogni nuvola un temporale. Avevo intuito che a lei quella cupezza veniva a noia e glielo dissi, gli dissi Smettila di fare così, stempera , e lui Di fare come? e io Come fai . Una sera di aprile mi propose di accompagnarlo alla stazione: la sua donna tornava dall'università, la andava a prendere. Quando lei scese dal treno era insieme a un altro: un tipo allampanato, scialbo, che parlando dondolava la testa in modo fastidioso. Si tenevano per mano e lei prima di infilarsi nel sottopassaggio lo baciò. Vedemmo tutta la scena da una decina di metri e a quel punto quello sciocco non trovò niente di meglio da fare che mettersi a piangere. Lì, in

Il re quieto

È una domenica mattina di aprile quando mi affaccio dalla finestra della mia camera e vedo la Punto rossa di papà parcheggiata sotto. Ho dormito fino a tardi, cosa inconsueta, e ho sognato treni e capistazione, mia moglie prima che fosse malata, e che le regalavo una rosa in un posto davanti al mare. Il risveglio è stato a strappi, faticoso: tanto denso e profondo era il sonno. Tornare alla realtà, alla sua logica - dopo aver creduto vere le logiche della fantasia - è un lavoro: devo riattaccare i cavi del cervello, è come riemergere da una fossa oceanica. Così a vedere la macchina di Pietro là nel parcheggio mi convinco che mi sia venuto a trovare con il giornale e le paste di Bonaccini. Ora suona, mi dico, ora sale le scale e bussa. Trattengo il respiro, il palazzo resta muto. Forse sta finendo la prima sigaretta della giornata davanti al portone. Finché mi lavo la faccia con l'acqua fredda e ricordo che la macchina l'ho presa io dal suo garage, perché a Susanna serviva la m

Sorellastre

Da ragazzo, in un'antichità ignara della rete, passai un paio di mesi a cercare nei negozi di dischi e sulle riviste di musica  l'album formidabile di una band irlandese. Avevo sentito le canzoni alla radio, mentre preparavo letterature comparate, e le avevo trovate grandiose, tanto che per qualche tempo tradii la mia esclusività per la musica italiana e me ne innamorai perdutamente. Non fu facile venirne a capo: il mio amico Jalenti non riusciva a farmelo arrivare e sui giornali non ce n'era traccia. Finché, quando avevo perso le speranze, su Repubblica comparve la recensione del vinile. C'era anche la foto della copertina, e lì cominciarono i fraintendimenti. L'album si chiamava Contrast e la copertina era tutta bianca. Pensai a un errore di stampa, dal momento che le canzoni erano invece multicolore, speziate e meravigliosamente giocose. Tutto il contrario insomma della monotonia che la cover suggeriva. Andai avanti nell'equivoco per un po', non sospettan