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Visualizzazione dei post da marzo, 2019

Farmaci salvavita

Quando ad Ale cadevano i capelli a ciuffi, e ci tenevano nascosti i bollettini medici, e dopo che se ne fu andata: quando il giovedì avevo già bruciato la settimana e appuntamenti non ne prendevo più, e Susi era da Rita e Pietro, e sotto le finestre di via Patrizi passavano fatui i fidanzati, allora, in quell'inferno, nel girone dei disperati che mi avevano destinato, ho preso a curarmi, ma sistematicamente, ho cominciato a prescrivermi dosi massicce di farmaci salvavita, e ho provato così forte la tentazione di morire che sono sopravvissuto. Sono diventato l'oculista, il cardiologo, l'epatologo, l'ortopedico di me stesso. E lo psicologo. Ho intuito cosa mi faceva bene - perfino per il tramite della tristezza, come un ambasciatore torvo che porti una bella notizia, - cosa mi aguzzava la vista, cosa mi regolava il cuore, cosa mi sfiammava il fegato, cosa mi aggiustava le ossa, cosa mi ricuciva l'anima. E così sfebbrai, ripresi a camminare per le città, solo ma c

Un milione e ottocentomila

Gianni Berengo Gardin - grande fotografo quasi novantenne - ha raccontato a Edoardo Albinati di aver imparato la poetica dell'inquadratura leggendo da giovane Simenon. E anche Hemingway, e Dos Passos, e certi altri scrittori poderosi che gli hanno insegnato come far entrare nello scatto solo ciò che è necessario alla narrazione, e niente altro. Dà da pensare, un'ammissione così. Tanto per cominciare fa capire a noi scribacchini quanto l'essenzialità sia indispensabile a una buona storia: avevo un amico che non scriveva malaccio, ma annacquava tutto mostrando ciò che era già evidente, si dilungava sul già detto, e così facendo perdeva mordente, e l'asciuttezza necessaria a qualunque romanzo di pregio. L'altra cosa che mi è zompata in mente, a sentire quel mago dell'immagine, è che l'intreccio delle arti è un fatto che non dovrebbe essere solo casuale ma incoraggiato. Contaminazione, parlo di questo, ed è una cosa buona e giusta, mi sa. Letteratura e fotogr

La dolcezza di vivere

Mi salta addosso mentre guido, a un tornante qualunque, già che prevedo una giornata opaca e stanca di avventure, o appena uno sconosciuto mi sorride in piazza, o m'intenerisco a subire da Pietro una gentilezza imprevista. Mi stiepidisce, è un avamposto di mare quando il mare non è in programma, l'orizzonte che si rilassa in braccio a un temporale, e s'azzurra dove era piombo, sopra la città che ancora vedo solo da lontano e che è la mia. Non ho meriti se non quello fievole di crearne, talora, le minime condizioni. La dolcezza di vivere, dico: non saprei nominarla altrimenti. Mi vola in petto, s'appoggia e s'allarga, come una rosa di proiettili ma benefica, e allora: evviva. Stamattina ho messo una canzone di Ruggeri che l'ha incoraggiata - quello è un gran gesto a prescindere; incoraggiare, dico - e voilà, eccola: furtiva, pudica, e m'ha riempito il sangue di glicemia. Senza controindicazioni però, parlo di uno zucchero da consumare a volontà, è anzi u

Pornotedeschi

Un altro viaggio, anzi: il primo serio, con la Dyane beige di Pietro, io lui e Rita, 1977, Narni/Vienna, 2132 chilometri complessivi, ma loro sono giovani e io bambino, e se non le fai nell'età dell'incoscienza, certe imprese, quando più? Per cui via, partiamo, senza indugio e con troppe valigie, che abbassano il culo alla macchina fin quasi a farle sfiorare l'asfalto epperò le danno stabilità, ed è come guidare col freno a mano tirato. Quando gli prende la fregola, a quei due giovinastri, non c'è verso di dissuaderli: devono scollare, mettere più spazio possibile tra loro e la tabaccheria, salutare tutti e sciò, bere il vento, salpare, decollare. All'epoca ho meno sinonimi per la testa e gli vado dietro senza intenzioni narrative, istintivamente, e in fondo mi diverto: mi piace poco passare le vacanze nei paraggi di casa. Casello, autostrada, velocità di crociera. Guida solo Pietro: Rita la patente non l'ha mai presa. Sole alto, caldo, traffico. E allora Pie

Io e Susanna

Ah, i figli: che magnifica maledizione. Quando raccontano e li devi stare a sentire, quando racconti tu e ti fan cenno di stringere, e quando ti impongono le loro canzoni e devi trovarci dei pregi - e certe volte è proprio difficile - perché ci tengono, sono teneri dentro quelle armature, dietro il cinismo esibito sono poltiglia. Facciamo dei gran giri in macchina, più di talvolta, solo per sentire la musica, io e Susanna. Non possiamo arrivare almeno fin là? e fin là è sempre un altro paese, un po' più lontano di quello dove stai, e speri almeno che tutto quello sciupìo di benzina la rallegri, le smonti per qualche ora il sospetto che chi le manca le mancherà per sempre, che non c'è cura a una cosa così enorme. O magari sì, chi può dirlo, magari la commozione è un antibiotico formidabile, e quella la provocano tante cose, tutte benefiche: di quelle andiamo in cerca, senza soluzione di continuità. E ci fermiamo, c'è il caso, in certe radure di sole, folte d'erba e d

L'occasione

E dopo aver tanto scritto, capitano giorni in cui ti senti scarico, e ogni cosa che pur scrivi sembra irrilevante, e forse lo è. Ci sei dentro fino al collo, in quest'epoca avara, e vorresti buttar via tutto, perfino il passato, che improvvisamente appare torbido come il significato dei tuoi romanzi, che pure fino a oggi ti è parso manifesto. Calma e gesso, allora: respira, fai una sgambata per i boschi, smetti di scrivere per qualche giorno. Vai al mare, mangia a un ristorante sulla spiaggia, stàncati e rigenerati, fai l'amore, ridi, leggi un autore che non hai mai letto. È il segno di una mutazione, in realtà, il sintomo che ciò che dovevi dire in merito alla tua vita precedente lo hai detto, e raccontato come meglio hai potuto, il recipiente delle cose vecchie è vuoto e ora è tempo di cambiare. Linguaggio e storie. Premurandoti tuttavia di conservare la stessa coerenza, la medesima faticosa qualità, l'identica ostinazione a non risparmiarti. Tre romanzi e un libro che