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Visualizzazione dei post da aprile, 2020

I benefici del pisolino

C'è nella mia giornata un diaframma che la divide esattamente in due metà e che ho ereditato da Gastone: il pisolino pomeridiano. Di primo pomeriggio non ci sono per nessuno, mi assale un'invincibile astenia e svengo su una poltrona, o sul letto di una stanza lontana dal chiasso. Se è inverno mi seppellisco di coltri e sto beato. Se è estate accosto le persiane, metto a corrente - quel filo che c'è - e me la godo, la pennichella, specie di messicano che non sono altro. Otto, dieci minuti, mica una vita: non crediate che poltrisca. Al contrario, tirarla per le lunghe infiacchisce e dopo non ho voglia di fare un tubo. Quella siesta invece mi ritempra, come un bivacco nella prateria, e al risveglio sono un grillo. Dovreste vedermi: bravo chi mi tiene. L'abitudine non la perdo neanche in viaggio, e chi viaggia con me lo trova un vezzo sopportabile, innocuo. Ho pisolato su una strada di Puglia, mentre un'amica guidava scalza, tra gli aranceti, e al risveglio eravamo a

Nello specchio

Il tempo della prigionia mi trasforma definitivamente in specchio. Così rifletto con più attenzione di quanto abbia mai fatto e in quel Francesco rovesciato leggo certezze che fino a poco tempo fa erano sospetti. Una ha a che fare con la consistenza dell'amore, nientemeno. L'ho capito una volta per tutte stamattina, quel che ne penso, mentre andavo a buttare la plastica nella differenziata. Il centro raccolta l'han messo al culmine della ripetta che porta al condominio dove io e altri eccentrici negazionisti delle comodità cittadine abitiamo selvatici. Il bello è che lì, tra il cassonetto della carta e quello dell'umido, si apre un varco tra due chiome di castagni e riesco a vedere la pianura, e i capannoni industriali, e i fumi serpentini che salgono indolenti dalle ciminiere. Eppoi vedo anche Narni - oh cara -  aggrappata alla sua roccia antica, e sembra che mi rimproveri, sembra che dica Fai di tutto per rimandare il ritorno . E invece no, è che non c'è verso,

Cari fantasmi

Chi è che sta cercando? Lì non ci abita più nessuno da cinque anni almeno . La signora ingrembiulata che si affaccia dal secondo piano ce l'ha con me, che sto davanti a una delle case della mia infanzia. Sì lo so - rispondo, - è solo che mi è presa una botta di nostalgia . Mi guarda sospettosa, forse teme che sia un ladro. Alla fine si convince, magari mi ha visto girare là attorno quand'ero ragazzo, mi fa Ah, in tal caso va bene e si ritira. Resto in cima a quella rampa di scale che sta davanti a una fabbrica dove  han scoperto in ritardo che c'erano discrete quantità di amianto. Chi abitava là dentro non ne ha avuto danno: il più giovane se n'è andato che aveva novant'anni. Erano dei miei zii, zii di mia madre in realtà ma era come se fossero di primo grado, tanto li trovavo affettuosi. Parlo di via della Doga, a Narni Scalo, nei pressi del santuario della Madonna del Ponte - lo chiamano così per via che sopra alla chiesa c'è il ponte di Augusto, di epoca

Estate

Come Catullo per Clodia e la passione, anch'io vivo il medesimo paradosso, ma nei confronti dell'estate: l'odio e l'amo, sogno che arrivi e appena arriva la detesto, di modo che non so dirmi mai compiutamente felice. Nella memoria ho salvata - come su un hard disk - quella dell'adolescenza, quando lampeggiava tra le foglie palmate dei giardini pubblici, cantava con l'ugola delle cicale sciantose e squagliava i gelati sulle mani. La città mia si mostrava a colori dopo esser stata grigia, smunta, per tutto l'inverno, s'affestava per l'accoglienza dei forestieri, che tutti sudati venivano a mangiare e a fotografare la bellezza, e poi ripartivano, con l'anima cambiata. Quell'anno che avevo vent'anni presi l'abitudine di leggere a persiane accostate, per non dare adito all'aria infocata. Di tanto in tanto un sussurro di vento - una scoreggia di neonato - s'intrufolava tra le stecche e carezzava tutto, portando un po' di treg