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Visualizzazione dei post da ottobre, 2018

La mia amante ostinata

Tutte le volte che ho la tentazione di salire lassù, scopro che quella tentazione è paradossale, perché non solo è innocente ma al contrario delle altre tentazioni, alleggerisce, anziché appesantire. Il problema è convincere lei ad accompagnarmi - la mia amante, dico - perché sa che cammin facendo mi libererò della sua presenza uno strato alla volta, come vestirsi a cipolla, sentir caldo, e buttare dal finestrino maglie e calzoni pesanti. Non le piace farsi lasciare a terra - come darle torto? - ma è una specie di rito che ha senso solo se lei mi asseconda. È vero:  con quegli alberi e il convento, la messa prefestiva delle 18, il tau per cui lasciare un'offerta e il panorama silenzioso, lei non ha nulla a che fare: è un ingombro, un peso; è fatua, meschina. Protesta, sbraita, mi ama - giura - e non mi lascerà mai, ma già al primo tornante, tra Sant'Urbano e Altrocanto, impallidisce, è spaventata, uggiola, sa dove stiamo andando e si pente d'avermi detto sì, ma solo non

Strudel

Il tempo dei ricordi narrati è l'imperfetto, magnifico espediente che fa riaccadere adesso le cose di mille anni fa, te le proietta davanti come un film che ogni volta ricomincia, e sorprende, perfino: con i particolari cambiati, le inquadrature inedite, e nuove scene che tornano, e che per un po' avevi dimenticato. Tutta la mia scrittura è allo stesso modo imperfetta, perché coglie un bagliore e mai la luce piena, dieci parole dentro alla conversazione di un giorno intero, un gesto scocciato di Gino in mezzo a una stanza adesso chiusa, ferma, vuota. Si sposano alla perfezione, l'imperfetto e la mia imperfezione - si completano, paradossalmente. Quando io racconto fatemi allora il favore di percepire i dettagli omessi, le voci sovrapposte, il sapore delle pietanze, il prima e il dopo di quel che accade nella mia povera prosa, e il durante - i fotogrammi tagliati. Solo così potrete avere un quadro abbastanza illuminato. Questo fa chi scrive - santo cielo: accende cand

'a scema

Col cauto ottimismo che mi piglia una volta l'anno, ma solo nei bisestili, ignoro un parcheggio relativamente comodo nei pressi di un supermarket perché conto di trovarne uno ancora più agevole a due metri dall'ingresso. Mi va di lusso e faccio manovra, mi infilo, e colmo di felicità come un mistero gaudioso, tiro fuori dal portabagagli le mie shoppers con le frasi di Mirka, di cui vado onestamente piuttosto fiero - delle frasi, dico, e pure di quella mia seconda figlia scapestrata - e mi avvio. Non mi va di prendere il carrello - che tutti lascerebbero dove capita se non ci fosse la moneta da recuperare, e dato che continuano a farli a quel modo vuol dire che la civiltà è ancora una parola senza corpo. Le porte scorrevoli si aprono un istante prima che tu ci sbatta la testa, è un fatto di coordinazione, devi rallentare il passo quando sei a mezzo metro, esitare, e aspettare che la fotocellula trasmetta il comando alla ghigliottina orizzontale. Una questione di tempi. Stavolta

Per non essere da meno

Casa mia è solo la casa in cui sono nato, ma giacché sono nato in tre o quattro case diverse, casa mia sono così tante che a ricordarle diventano una soltanto, gigante, che da via della Pigna sconfina in via Cardoli, trapassando - Fraporta - Mezule come una spada, e da via Cardoli s'allunga sulla Flaminia Ternana, e da lì, da quei viali quasi romani di alberi che perdono i capelli, scende tuffandosi in via della Doga, davanti al passaggio a livello, a due isolati dal magazzino dei tabacchi che non c'è più, e che quando c'era odorava di trinciato e saponette Palmolive. Sono venuto alla luce un poco alla volta, scoprendo il mondo dentro a quelle quattro case di parenti innamorati e alle loro trenta stanze, camminando gnomo per corridoi e disimpegni bui, affacciandomi da finestre che davano su panorami ogni quattro volte differenti: la sartoria dall'odore stantio di  Vania, il monumento ai caduti, il chiosco di Battistelli e la carrozzeria di Falasco -  davanti alle cu

Castello di spettri e di vento

(foto di Simonetta Sperandio) Cammina e arrampicati, cammina e arrampicati - me lo ripetevo ieri dopo un pranzo leggero di pane di Lugnola e prosciutto nostrale - strepitoso - nel momento in cui i miei occhi hanno visto per la prima volta Celleno. Un altro dei miei viaggi ispirati dalla curiosità di scoprire cosa c'è nella memoria d'Italia, nella sua pancia, nei castelli abitati da spettri e vento, eretti mattone su mattone, malta su malta, per calcolo di equilibrio e olio di gomiti. Ottobre sudava e caracollava dentro a un caldo inspiegabilmente estivo, e io con lei. Ma perdersi d'animo e rinunciare non fa per me, neanche se - come appunto ieri - mi trovo davanti una salita micidiale che curva a verso di mulattiera fin sotto la porta d'ingresso, e il sole picchia allegre randellate sulla testa. Volevo entrarci tutto fiero, nell'acropoli di questa roccantica viterbese, piccolina e sghemba, sbreccata sulla cima delle torri, romanica nei resti, simile

Di boschi e di lupi

Se prendo a camminare forte e rinnego la stanchezza, e ignoro le suppliche dei muscoli, finisce che mi ritrovo, a sera - allo sfinimento - lontano dalle querele degli esseri umani, lontano dalle loro case, dalle autostrade, e precipitando indietro di un paio di secoli sconfino in un posto di alberi fitti, ghiandaie che ci attrezzano nidi spericolati, e nessun sentiero più da assecondare. Sono allora, e finalmente, irrintracciabile, e dagli essere umani stessi e dal campo di qualsiasi cellulare. A quel punto respiro, faccio un po' di stretching, mi siedo sugli anni circolari di un tronco schiantato e immagino come sarebbe costruirci casa, tra quei paraggi. La mia immaginazione personale, affamata di paura sin da ragazzino, avrebbe di che saziarsi: una volta incontrerei il lupo loquace; una volta uno sposalizio di libellule; una volta - nella radura - il cerchio delle fate, e là mi apposterei, notturno, per soprenderle in balli e suoni di ocarine. Eccola l'ampiezza della mia v

Un paradiso su misura

Dallo stupore alla nostalgia è passato del gran tempo e non me ne sono accorto. Ieri ero all'Upim e le donne della mia famiglia mi compravano i vestiti, mi mettevano davanti agli specchi, discutevano tra loro su quale mi stava meglio, e senza chiedermi se mi piacessero ne prendevano due o tre, per i giorni di festa e per quelli di tramontana. Mara, Gina, e in subordine Rita erano le Parche del mio destino di piccolo lord, e ci provavano gran gusto. Oggi ci entro da solo, a cercare un K-Way, e certe ombre del 1974 mi pare scivolino ancora sui pavimenti, si impalino dietro di me che sto davanti a nuovi specchi, e giudichino quello che indosso. Sta sempre lì, quel posto che è l'unico ipermercato dove entro volentieri - forse per l'antico imprinting che dicevo, come le papere di Lorenz - e dove mi trattengo strozzando la fretta e - tanto per ripeterlo - con un certo groppo di nostalgia. Ecco cos'è la scrittura, maledizione: ricordo e rimpianto, un frastuono di giorni e ann