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Visualizzazione dei post da dicembre, 2018

La dolcezza

Il freddo delle stanze d'inverno aveva un pregio, agli occhi dei miei dieci anni: induceva Rita a posare sui termosifoni bollenti il mio pigiama, prima del bagno che mi calmava le smanie. Io faccio lo stesso, con mia figlia: ho assorbito cioè quel gesto perché credo che sia amorevole, e leghi le persone ben più della consanguineità. Ha a che fare col concetto di dolcezza, per come la vedo io. Abituati a certe attenzioni da ragazzini, poi da grandi non ci costa fatica rivolgerle ai nostri figli: è una specie di catena di sant'Antonio, ma senza seccature. Qui cominciano i guai. Perché ho l'impressione che a parecchi dei nostri ragazzi, oggi, sia mancato quel passaggio, la percezione di una accortezza affettuosa che hanno aspettato, ma che non è mai arrivata. Li ho visti, a scuola, e li vedo, girare le città, a manifestare cinismo e pratica del mondo, senza che l'uno sia la fine di un percorso ma, al contrario, un istinto; e senza che l'altra sia più di un'illusio

vITa

Per esempio di It mi piace la poetica dell'adolescenza, lucidissima e spietata. Ogni volta che ne rileggo una scena, mi persuado che King sia lo scrittore più frainteso del mondo. Ne parlavo a scuola - quando ci andavo - e ne parlavo a una cena - di recente, - con amici che mi chiedevano un parere sul film, manco fossi Morando Morandini. Partiamo dal libro, però - ho provato a dire, - che il film è bello ma il libro è superbo . E allora si son messi di buon animo a darmi retta, e ci siamo incamminati sulle tracce della banda dei Perdenti. Che diavolo di storia. Quella del romanzo, dico, e pure le nostre in fondo, di noi che eravamo lì, ombre spesse della guerra contro Pennywise. Ma di quelle magari parlo un'altra volta. Comunque. Ci siamo urtati al discorso sulla paura, incagliati, Non ne fa, che cavolo di horror è? han detto i più giovani al tavolo. Non deve farne - ho buttato là, - non è una storia costruita per quello, ma una storia "sulla" paura: c'è dif

Americana

C'è il vento nel mio sogno ora più ambito, una fattoria con la veranda in braccio alla sera, l'estate di una provincia americana che somiglia a Maycomb - città inventata dove Harper Lee impalcò la sua memoria più estrema - spuntini sul tavolo, bottiglie di coca e pick-up che tagliano l'orizzonte, e ballonzolando rincasano. Prima che cada la notte, e inchiostri tutto, accendo le lampade di carta giapponesi appese al sottotetto, fumo una paglia, stiro le gambe sulla staccionata e inalo il giorno che muore. Finché, eccolo che arriva. Robert Redford, dico, con una Cadillac bianca, fantastico nei suoi ottantadue anni, vestito uguale all'ultimo film - Old man and the gun - che chissà se poi sarà davvero l'ultimo, o è uno scherzo. Sale i gradini come scusandosi per il ritardo, in fretta, e io Che ritardo? Neanche sapevo che venivi , e lui Ma ci speravi, per cui vale lo stesso , e dopo si siede, e beviamo una cosa.  L'aria fresca della prateria ci leviga, spegnendo

Il futuro

Spengo tutte le luci e sto zitto, mi fermo, mi interrompo. Poso la cura dei giorni in un ripiano, assieme a Cecità , faccio un cenno a Rita e esco per l'arrampicata, a digerire il pranzo della domenica. Prendo le strade che guarniscono la città come strisce di crostata e  in pochi minuti - addosso -  mi piove la sera: nelle tasche, tra i capelli, sul naso. Veste le cose come un attore che sul palco appaia tenero e lunare, dopo che per tutta la mattina è stato colorato, e ciarliero. I palazzi, le auto in sosta, paiono fatti di cenere, o viaggiati lì dal passato, da un film di Capra, e lo stesso l'ospedale, dove arrivo di buon passo, scortato dalla malinconia. Vedo il futuro, se mi ci impegno. L'ultima nuova casa - ho giurato che lo sarà fino a che non torno alla prima, in vecchiaia - deve essere fatta a mia immagine e somiglianza, e l'anno che verrà un carnevale di letti da rifare, ansie, scoppi di allegria, idee, preghiere, presagi. Quello che ho passato sarà l'a

Area 51

C'è, c'è, è solo che ogni tanto si nasconde. Sale sopra il muretto dell'orto e se il sole picchia verticale si sdraia tutta, come un gatto, e sta lì a oltranza. Perfino si sfastidisce, se scellerato la corteggio: Fammi le distanze   - mi dice per cattiveria, e dentro a quel fare - maledetta ironia - insiste tutta la sua malarte. La tentazione, dico. Di smettere qualunque ambizione, posare i giochi, riporre i vestiti di scena. La tentazione del nulla, la tentazione a scappar via, a farmi irrintracciabile, a dirmi inafferrabile dalle voci, tutte e ognuna, che potrebbero inseguirmi. Lontano, oltre l'ultima eco rimbalzante del suono più maestoso, in un postaccio senza campo, primitivo, alieno. Via le parole, via lambiccarsi il cervello per impalcarle decenti, via la fame di storie che pur cibandomi non mi sfamano mai perché c'è sempre il sospetto di una storia migliore - indefinita - che mi fa appetente. Via il tormento dei ricordi, la cerca della grazia come elemos

La scarpetta di Platone

Fatti furbo , mi disse una volta un vecchio - o forse ero solo io che avevo diciannove anni a vederlo così. Ne avrà avuti quarantacinque, e comunque meno di cinquanta, e si vantava di conoscere il mondo. Se ne andava per le case riparando televisori, capitò in quella di certi miei parenti e mi prese di mira. Te sei ancora un lattante, mò ti imparo a vivere - disse, e cominciò a esaltare la scaltrezza, e che per far soldi non si può andare per il sottile, e che tocca sempre fare la scelta più utile. Annuii per qualche minuto poi decisi che non me ne importava, di piacergli, e gli chiesi se a far rifunzionare tv scassate fosse diventato milionario. Mi guardò come ti guardano i finti uomini di mondo quando gli scopri le carte, incattivito, poi rivolto alla padrona di casa sputò: Tienilo a bada, 'sto bardascio. Fa lo spiritoso . Fu il primo di una piccola ma non trascurabile serie di successi contro i cretini. Che, invecchiando, mi sono accorto essere un plotoncino sempre ben nutri

L'attenzione

Gli accappatoi, quando sei fradicio di doccia, han la sana prerogativa di farti perdere tempo: una manica è nel verso giusto, l'altra nel verso sbagliato. Sempre. Tu lo hai appeso come si deve, la volta prima. Magari eri distratto per un improvviso assalto d'amore, e l'hai buttato là sul lavandino, ma alla fine te ne sei preso cura, e mentre lei ti sorrideva compiaciuta, e si sfonava i capelli, lo hai rimesso al suo posto, sul gancino, con tutta la meticolosità di cui sei ricco. Con le maniche nel verso giusto, soprattutto. Passano un paio di giorni, rifai la doccia, c'è il caso che rifai anche quel gioco magnifico che è saltarsi - allegramente - addosso, e quando vai per indossarlo, niente: una manica al dritto una al rovescio. C'è un fantasma dispettoso che usa la mia vasca da bagno, io credo, e la notte sciala tra sali alla calendula e borotalco, sciupa tutta l'acqua calda e veste tutto quel di mio che trova in giro. Lo possino. E alla fine, all'alba, ri