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Visualizzazione dei post da giugno, 2019

La balena

Ci hanno regalato il mondo e il gesto per raccontarlo, ma non crediate che il narratore sia un privilegiato. Al contrario: le mani gli si rompono, a furia di scrivere, il respiro è chiuso, come il fiato avesse una barriera contro cui sbatte, e vive perciò sott'acqua, o così gli pare. Ha queste controindicazioni, l'arte povera che pratico, senza il vantaggio di saper fabbricare trumeau, reti con doghe in legno, settimini dentro cui riporre mutande e soldi spicci. Gioca con ciò che è disutile, il narratore, e con quel che a questo mondo pratico sembra un trucco: raccontare lo è, perché per natura quel verbo è ingannevole, è fratello di romanzare , il che vuol dire cambiare le cose per farle più avventurose, e belle. Per onestà metterei tutti i miei ricordi dentro un cappello - come fa Vecchioni con le parole - e vi mostrerei quanto sono insignificanti, ma così facendo non avrebbe più senso niente, neanche la mia vita. Ogni memoria, allora,  è un pesciolino che nelle mani di F

Buona estate, cara estate

Bentornata, stagione degli amori sciocchi che ti si incollano a vita, bentornata leggerezza, bentornata euforia. In spiaggia, nelle sere dai tramonti regali, ho intuito l'immortalità, e che doveva annidarsi in quella perfezione, nel vento che soffia dal mare e inarca le onde, nelle canzoni da ballare sotto i gazebo, le tende arancioni che si gonfiano, a respirare. Ben ritrovata, felicità di un attimo - ma che dentro quell'attimo hai tutti i colori dell'eterno: - buona estate, cara estate. A onore di quelle stagioni ho indossato camicie bianche, me lo ricordo, e pantaloni freschi - vagamente somigliando a Sonny Crockett  - e  ho corteggiato la donna mia come una sconosciuta - già che lo stereo suonava voulez-vous coucher avec moi - e accanto uomini allegri con le loro compagne facevano uguale, e la vita era dolce, e la paura quella notte non trovò neanche una sedia libera. Bevemmo davanti al mare etrusco, e mangiammo spaghetti di pesce, e nessuno andò a dormire, e quando

Giustizia poetica

Il primo giorno di vacanze dopo la prima media sarà stato tipo oggi: il dodici di giugno. Mi prese allo stomaco il disagio di chi sta a casa mentre tutti gli altri stanno in classe, il fastidio di un evento che succede anche in nostra assenza, ma stavano a casa tutti, ricordai, e passò subito. La tabaccheria di Pietro era giovane, e lui con lei . Di legno scuro, dentro, tra le pipe di radica; spallidita dal sole la parte scostumata, affacciata in piazza come una venditrice d'amore. A un certo punto dev'essere arrivato Gastone, coi suoi Tex del fine settimana: l'edicola sulla rampa del duomo, a ogni pronunciamento d'estate, spalmava per il mio incanto e per tutta la sua lunghezza una marea di arretrati col bollino del prezzo ritoccato - Lit 250. Se ricordate che razza di diavoleria è lo stupore da ragazzini - mischiato con il desiderio come il rum alla crema d'uovo - capite di che parlo. E l'odore? Quello della carta polverosa, gonfia di acari da magazzino: lì è

Jerry ritorna

Io che detesto il jazz - ma solo quello senza capo né coda per via che l'improvvisazione non fa l'arte - sono innamorato di una canzone che il jazz ha reso eterna, prelevandola dagli spirituals che i neri di New Orleans cantavano ai funerali. Già dalla fine dell'800 pare che da quelle parti si usasse inumare la gente intonando marcette spiritose, e ballando, sbronzandosi a tutto spiano e affidando ai santi - con tutta l'allegria possibile - l'anima del trapassato. Così tra le nenie e le melodie dimenticate, una è passata alla storia, perché è magnifica: l'ha presa Louis Armstrong, l'ha presa Fats Domino e l'hanno resa immortale. Sto parlando, se non fosse chiaro, di When the Saints Go Marching In, capolavoro da canticchiare dondolando la testa a destra e a sinistra quando uno è giù di corda: fa buon sangue come una birra con gli amici ma senza gli effetti collaterali dell'alcol. Lo sa perfettamente anche Jerry Drake, che una volta che era di umor

Il ricordo perfetto

Non volevo camminare così tanto ieri sera, ma c'era ancora luce, ero in pace, e non mi sono messo a contare i passi. La stradina che da Itieli sale verso il boschetto di aceri, una volta sterrata, ora levigata d'asfalto, se la assecondi ti fa arrivare lontano da tutto, a cercar more - quando è stagione - o a goderti la compagnia di te stesso per il tempo che serve a fare il punto della situazione. Andavo con un bastone da passeggio - da quelle parti girano cani randagi e una volta uno assai rabbioso attaccò Pietro - e intanto rimuginavo progetti di scrittura, e ringraziavo il cielo della bella vita che finalmente ho addosso. Così leggero arrivo a una casa isolata dove una specie di eremita vive senza tv e senza frigo, separato dal mondo come io finalmente lo sono dal dolore, e grato come me di quella sorte. Si dà il caso che quel signore sia anche il padre di un mio amico: è burbero con tutti - tipo Dinamite Bla - e non lo incontro da trent'anni. Lo trovo che sta seduto

La seduzione

Scrivere per me e non per gli altri è il modo migliore che conosco di scrivere per gli altri, perché quando scrivo per me sono esigente e sul pezzo, come un cronista del Washington Post ai tempi del Watergate. Vado cioè alle fonti primarie, le sole attendibili, e le interrogo allo stesso modo di quando inchiodo i ragazzi a scuola, e similmente le sgamo, se mi raccontano balle. Ok, i ricordi - a quelli alludo quando parlo di fonti primarie - di rado ingannano, ma c'è pur sempre il rischio di un vuoto di memoria tra due pieni, un'ora da riempire di gesti tra altre ben presenti, e lì per amor di completezza tocca romanzare. L'importante è farlo - romanzare, dico - quando proprio non hai alternative. C'è differenza del resto tra i giorni che son diventati memoria senza che ne avessi il sospetto - quelli della giovinezza, specie - e quelli di oggi, che lo diverranno tra un po', ma che già adesso scopro arricchiti di questa funzione aggiuntiva. Un tempo i sussurri e le