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1983

A quindici anni avevo una fidanzata al giorno, tutte immaginarie, tutte con facce diverse e lo stesso nome. Ero forte e inconsistente, le mie idee erano tre o quattro in tutto, non sapevo niente di niente, vivevo di puro istinto. Probabilmente hanno ragione quelli che dicono che a quindici anni sei come un animale da addomesticare, eppure in certe circostanze sono stato felice. La prima volta che è successo, per esempio, me la ricordo. C'era una festa in campagna, in un prato, sotto un grappolo di luci colorate appese tra i rami degli alberi. Capitò che Pietro mi permise di andarci, nonostante fosse lontano e dovessero accompagnarmi in macchina certi amici più grandi. La cena cominciava alle otto, l'orario in cui di solito dovevo rincasare. Eravamo una decina, mi accolsero come avessi la loro età, mangiammo e poi ci mettemmo in circolo a fumare. Io guardavo soltanto, respiravo le sigarette degli altri. A un tratto verso mezzanotte mi colse una sensazione di felicità mai provata
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L'inventario

Mettiamo che arrivi un'alluvione: le prime cose che metterei in salvo sarebbero le cose inutili. Vale a dire una trentina di romanzi, le sorprese degli ovetti Kinder, le foto al mare di ogni due di aprile, le canzoni di Roberto e le rondini che mi sono entrate dal camino. Al piano nobile della casa che non ho ancora comprato sistemerei tutto quel che è necessario a sopravvivere e che non posso usare come moneta di scambio: lì, in bella mostra, lo ammirerebbero gli amici e le donne che amo, quando passano a trovarmi colle galosce ai piedi. Io che sono innocente, io che adoro le persone e la gente mi spaventa, su quei ripiani sottrarrei al diluvio anche le nostalgie che ho raccontato, le parole con cui mi sono abbellito perché certe amiche mi corteggiassero, gli innamoramenti non dichiarati e tutti i baci che ho dato senza passione. Se mio padre ci fosse ancora, direbbe che per vivere mi basta quello, che non necessito di altro: acrobazie in borsa, speculazioni filosofiche, viaggi tr

Caffè lontano

Così si va, talora senza neanche l'intenzione, si va per derubricare la noia dai reati della domenica, si va che già il giorno sta scurendo: in un paese vicino c'è un teatro pomeridiano dentro le mura di un convento di suore, tanto basta per farmi alzare il culo dal divano. Pino Strabioli racconta Paolo Poli, attore aristocratico se mai ce n'è stato uno, ma a me m'incanta di più il percorso da fare fino al palco, il villaggio intermittente di luci come bagliori da una stella, lampioni che sfavillano, luminarie di Natale non ancora smontate e in fondo alla piazza, recintato da transenne, un caffè del 1950, con l'insegna antica pencolante sulle teste dei commercialisti, arrivati selvatici, a branco, in motocicletta. A chi viaggia con me faccio cenno di andare, che la raggiungerò prima che si accorga della mia assenza, ma adesso, davvero, devo fermarmi qui. Perchè è qui, vivaddio, che mi sono fermato anche un mare di tempo fa, appresso a Gastone e perfino a Pietro - se

Canzone della ragazza solitaria

Comincia a piovere, sono nel parcheggio della scuola, tra poco tocca a me. Ho un corso di scrittura coi ragazzi delle medie, ne ho fatti tanti e son felice di provare ogni volta una certa qual ansiosa emozione: la freddezza non giova ai narratori. Il dubbio è sempre lo stesso: decidere se raccomandare loro le opere più popolari o suggerire roba eccentrica, che non hanno mai sentito nominare. Le prime sono spesso più innocue, hanno una sola chiave di lettura, quella letterale, e non pretendono curiosità. La roba eccentrica costringe i ragazzi a diventare speleologi: la grotta è la loro testa, ci si inoltrano con la lampada sulla fronte e attraverso passaggi claustrofobici arrivano in un qualche ambiente inesplorato. Mi ci perdo, in questi ragionamenti, ed è allora che uno spiffero sonoro di vento entra dalla portiera. Suona proprio: come un flauto, non è un modo di dire. Immagino che un fantasma dispettoso, fatto dell'aria che scende dalle montagne, si sia intrufolato nell'abita

Due donne

Il teatro greco di Taormina è uno di quei tre o quattro posti dove mi piacerebbe morire, naturalmente tra un paio di secoli. Il guaio è che non potrei perché ha la stupefacente capacità di farmi sentire immortale, felice come una Pasqua e mezzo ciucco anche se ho bevuto solo gazzosa. Esistono posti così, quello è un posto così. Lì ho immaginato che faccia farò quando scoprirò che tutto ha un senso e che tutte le ansie scoperchiate di notte erano soltanto un gioco di ruolo, una beffa ben architettata. Lì, sulla scalea lavica, in faccia al tramonto dello Ionio, non più tardi di dieci anni fa ho fatto il punto della situazione con due donne libere che assecondavano la mia impudicizia. Cercavamo tutti e tre una giustificazione a quella licenziosità, che un po' ci spaventava e un po' ci divertiva. E inseguivamo un'espiazione, ma con calma. Poi la sera, tra le viuzze ornate di passamanerie, di tovaglie di broccato poggiate sui davanzali, ecco la parola che ci salvò, pronunciata p

Lascia che sia

Quando tutto mi grava addosso come il mondo sulle spalle di Atlante, quando il diaframma mozza in due il respiro e la fame d'aria mi squinterna, prendo su le poche cose necessarie alla sopravvivenza e taglio la corda. L'istinto, che è più tenace della pigrizia, mi spinge sempre verso il mare, luogo di consolazioni, nostalgie e aurore spalancate. A ogni chilometro - passata Vitorchiano, passata Bomarzo, passata Tuscania - butto giù un po' di zavorra, come se invece che andare in macchina volassi in mongolfiera, e una volta arrivato ai confini della spiaggia mi ritrovo leggero come un aliante. Lì, tra la spuma dei pescespada al largo e l'insalata di alghe sulla sabbia, i pescatori che tirano le reti a riva, riesco a vedere più nitide le cose: la consistenza degli amori, le malinconie severe e la fortuna di poterne far racconto. Lì ricordo un'altra volta che la poesia è l'invenzione umana più necessaria - se con quel nome intendiamo la ribellione al destino, la dec

Carovane combattenti

Ridiamo, aprile è arrivato, la tua camicia leggera. La panchina di legno l'hano rotta i ragazzi delle medie, mancano un paio di stecche, il sedere ci casca dentro. Io devo aver detto qualcosa di spiritoso, o tu hai riso per cortesia, non fa differenza. Siamo lì perché è un destino, un viaggio che avrà tante deviazioni, e ad ognuna di esse dovrò scegliere da che parte andare. Ma quella volta chi ci pensava che sarebbe stato così complicato? Credevo a una vita monotona, un poco pigra, la vita a cui aspirano tanti di noi, pensando che sia la migliore possibile. Quel giorno, e nei giorni successivi, che slegarono la nostra libertà, sperai che saresti stata il mio sempre, fino a diventare decrepiti insieme, e che ce ne saremmo accorti, di essere invecchiati, solo in un altro aprile, a cent'anni di distanza. Il fatto di non esser mai riuscito a immaginare una vita senza di te prima che dovessi per forza viverla, è stato un altro bel problema: la fantasia aiuta quando arriva una realt