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In pizzeria

Di che cosa avremmo potuto parlare - mi chiedi? Della mia vita. Della tua. Della nostra, che è l'insieme delle prime due ma è anche una terza che ha una natura tutta propria, ibrida e solenne, e degli anni arrembanti che abbiamo attraversato, delle risonanze magnetiche alle quali mi hai accompagnato, di quella volta che ti eri innamorata di un altro e ti son venuta a prendere, sul confine del non ritorno ma un attimo prima che tutto andasse in rovina. E poi di Cent'anni di solitudine , che a te piace e che io detesto, e dei film di Lanthimos, che tu detesti e che a me piacciono. E dei nostri figli, certo, delle loro bizzarre compagnie di giro e dei tatuaggi che hanno sulla schiena, serpenti e pistole, come gli accoliti della mafia cinese. E di tua madre, che s'è fatta arcigna, io credo abbia paura che la pensione non le basti per pagare la badante e le terme a Salsomaggiore. Avremmo potuto parlare perfino del tempo morto, di quelle parentesi di noia che pure flirtano con la...
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L'amore e il caso

Ho un paio di amici che si sono sposati per caso, e quei matrimoni così fortuiti resistono al tempo, anzi forse col tempo si sono perfino consolidati. Poi ho dei conoscenti le cui storie più longeve sono nate all'improvviso, inaspettatamente, e sono anche quelle, a sentir loro, di cui han più nostalgia. Ne deriva che più gli andiamo incontro, all'amore, più quello si divincola, gli venisse un colpo: è lui che governa le cose, specie di principe anarchico che non è altro. Volete le prove? Eccone una, e valga per tutte. Ad Alfredo, il più eccentrico di quegli amici, l'amore è caduto addosso mentre smadonnava perché un furgoncino gli si era piazzato davanti all'entrata del garage. Immaginatevi la scena: sono le due di pomeriggio di un agosto feroce, Alfredo deve salire da sua madre a portarle l'insulina e trova il passo carrabile occupato. Chiama la municipale ma naturalmente a quell'ora sonnecchiano tutti, gli dicono che arriveranno appena possibile e invece non a...

Una tentazione

Potrei fermarmi qui, entrare in società con questa ragazza, gestire con estro creativo il bar che affaccia sul molo e vivere innamorandomi ogni giorno. Di lei, delle lune d'agosto, del mare in burrasca e dei pescatori che gettano le reti alla fine della notte. Stavo per chiederglielo, se le andava una joint venture, lei ci avrebbe messo l'arte pasticcera, l'abilità a far disegni d'amore sui cappuccini, e io le mie parole stravaganti, l'impresa di far leggere più libri alla gente presentando scrittori ogni settimana e il progetto di un festival di musica d'autore, con il palco in piazza sotto le lampadine colorate. Che posto che è, questo posto che dico, dovreste vederlo. Sta sull'Adriatico, a nove chilometri da Senigallia, ci sono stato due volte con Alessandra, la seconda tre mesi prima che morisse e non sembrava una cosa imminente: nuotava al largo più forte di me. Qui troverei la pace che cerco e che spero di non incontrare mai, perché le battaglie sfaman...

Madeleine

Qualche volta sogno di aver paura, sentimento che nella realtà ho sconfitto e che di notte viene a prendersi la rivincita. Mercoledì ho sognato che avevo paura di entrare in radio perché convinto che, girato l'angolo del palazzo, sul portone d'ingresso ci fosse un uomo armato di bastone che mi aspettava per uccidermi. Così son rimasto lì sul marciapiede per quel tempo indefinito che governa gli incubi e quando mi sono svegliato era ancora buio, in strada è corsa una macchina con la musica a palla e per conforto ho cercato con la mano chi dorme accanto a me. Un altro inganno. Nessuno dorme accanto a me dal 2012 se non saltuariamente, il letto matrimoniale è diventato dispari, e io non ho amato anima viva per anni il che, giurano alcuni, è una discreta fortuna. Avevo smesso, a dirla tutta, poi di recente, cazzo, ho ripreso il vizio, come uno che non ha ancora capito che l'amore non esiste, ma non sono sicuro di volerlo confessare, è tutto così in bilico, immagino che resterem...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...

Le parole

Sono quindici anni che racconto di me: in tutto quello che ho scritto, che qualche editore gentile ha pubblicato, che tanti amici hanno avuto la generosità di leggere, ci sono io, camuffato o con la mia faccia nuda. Ho cominciato per difendermi dalla realtà, quando a mia moglie diagnosticarono una cosa stupida e feroce: il mieloma multiplo. Ho continuato quando lei se n'è andata perché a quel punto ho capito che era una terapia come un'altra, ma più di altre adatta alla mia indole vanitosa. Non so se tutti gli scrittori la mostrano, so che praticamente tutti ce l'hanno e io non faccio eccezione. Me ne sono reso conto quando ho capito che mi lusingavano i commenti della gente perché giocavano con la presunzione di essere artista, di saper modellare le parole e legarle ad altre dentro una sintassi che intercettava certi dolori collettivi e perfino certe nostalgie felici, e che dolori e nostalgie sono le ascisse e le ordinate della narrativa. Da allora, scrivere tutti i giorni...

Con la scusa del viaggio

Delle gole d'Appennino, dei ponti d'acciaio e cemento tirati da un baratro all'altro, vive il racconto del viaggio recente, settecento chilometri in un giorno, la paura di non farcela a restare svegli e il sospetto che qualche assassino si nasconda nei camion che ti sorpassano furibondi a venti centimetri dalla fiancata. Partiamo di giovedì, io e Susanna, un'altra mezz'ora e saremmo arrivati a Venezia ma il viaggio in fondo è una scusa per riepilogare quello che siamo: un padre e una figlia, e in mezzo una ferita così profonda che poteva dividerci e invece ci ha uniti. Prima di Firenze comincia il gioco delle canzoni, una a testa, una che piace a lei e una che piace a me, e ci parliamo attorno, è bello parlare attorno alle canzoni se hai una figlia che ci arriva, a certi significati nascosti, ben prima di quanto facevi tu alla sua età. Limitiamo al massimo le fermate, altrimenti tra una settimana siamo ancora in giro, però gli autogrill sono scrigni colmi di tentazi...