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Visualizzazione dei post da luglio, 2019

Il tempo breve

Dal 1967 a oggi il mondo è invecchiato impercettibilmente; il mio, di mondo, invece, è diventato decrepito: Gastone, Gino, Alessandra, sono morti, Rita e Pietro hanno ottant'anni - e ve lo giuro: erano due ragazzi, - Susi non stava nemmeno nei progetti del cielo e ora è una donna. Che disastro, che il tempo umano vada a una velocità spaventosa e quell'altro sia un pachiderma. Da questa stonatura deriva tuttavia qualche piccola fortuna, se posso dirlo. Tanto per cominciare favorisce l'evoluzione, perché ci si ingegna a lasciare una impronta, quando sei a scadenza corta, e lasciare un'impronta per come la vedo io vuol dire inventare qualcosa che prima non c'era e renderla di pubblico dominio: un figlio, una parola, una formula matematica, un gesto di coraggio, un ceffone a chi se lo merita, una speranza nel lutto. Oltre a questo la brevità del viaggio - come la tratta Narni/Orte - ci munisce di emozioni, e le emozioni ci danno la percezione che la vita non è propri

Far fagotto

Un altro agosto e poi si ricomincia a scendere giù per le stagioni notturne, dove le ore di buio sono più di quelle di luce. Dovrei esserne contento: l'oscurità mi protegge nella sua polla nera e mi suggerisce nuove forme d'arte illusa e nuovi atti di vilipendio agli scrittori veri. Eppure oggi che camminavo obliquo - per via della salita che ti scorta al centro di uno di quei paesi d'Appennino - ho intuito che ad assecondare tutta la vita il crepuscolo si finisce per raccontare sempre le stesse faccende. Pur con corpi differenti, più pieni e sonori, la canzone si ripete, e non è questo che cerca il narratore. A mia discolpa posso dire che motivi di desolazione ne trovo quanti ne voglio: la piazza, allagata di sole, era tutta morta, le sedie di plastica per gli spettacoli dei maghi impilate da una parte, il palco ingombro di teli di refe e rotoli di nastro adesivo. Cicale s'aggrappavano alle cortecce, intente a farsi scoppiare l'ugola, e non girava neanche un ess

Gli anni pimpanti

Neppure mezz'ora fa un ragazzo felicemente selvaggio - avreste dovuto vederlo - è passato sulle strisce pedonali di una via del centro con due lupi al guinzaglio. Era bellissimo, e dava l'idea di strafottersene di tutto: la green economy, le banche, il marketing territoriale. Era fantastico e i suoi due lupi ancor di più, camminavano a testa alta tutti e tre, fieri di non appartenere. Perché appartenere è fico ma non appartenere è sensazionale. Sono convinto fosse un commercialista, in un'altra vita, o un broker che si è ravveduto, ha mandato al diavolo i piani di accumulo, è salito in Appennino, ha messo tagliole innocenti e quando le bestie ci son cadute se l'è fatte amiche. Le ha addomesticate, inselvatichendo al contempo la sua indole burocratica, e trovando forse la felicità. Li ho seguiti finché ho potuto: più in là delle strisce c'è una rotonda, l'ho usata per tornare indietro ma quelli erano spariti, e chissà se la passeranno liscia, ad andare in giro

In vetta

Mi arrampicavo su per la mia città, da ragazzino, che ha il pregio di essere verticale, come tutte le città in cui è fantastico vivere, perché le cose piatte - i libri insipidi, presempio - appiattiscono la fantasia. Salire e poi guardare tutto da un'alta quota contagia l'intelligenza di intuizioni, invece: cresce la sfrontatezza, calano le paure, i battiti del cuore impazziscono, sembra che ti manchi il fiato - ecco l'infarto! - e invece c'è il caso ne venga fuori un romanzo coi controcavoli. Avevo il vantaggio di vivere a mezza altezza, ai tempi: via della Pigna, cosicché scalare il Monte era già partire a metà strada, come avessi piantato il campo base un pezzo su. Dalle dodici all'una poi era una beatitudine, invettarsi . Dalle case, dalle finestre schiuse, dalle bocche delle taverne, sortivano zaffate di pomidoro bolliti, di zucche abbrustolite, di conigli alla cacciatora unti di sughetti bianchi, e così sapevo che la signora Ruggeri aveva ritirato la pensio

Irrequietezza

Il viaggio che da questa collina di cinghiali porta alla civiltà passa giocoforza davanti al lago dove da ragazzino sperai nuotasse un dinosauro, per sentirmi un po' scozzese anch'io, e provare il brivido di andarne in cerca - negli inverni brumosi, col binocolo e il thermos del caffè - sopra una barca da esploratori. Sui due lati della strada corrono case che devono fare i conti da che sono al mondo con legioni di zanzare - io immagino - e infatti alle finestre trovi reti fitte e  nelle stanze niente luci. Solo un vecchio, su un balcone, sta sempre là, di vedetta, d'estate in canottiera, d'inverno - nelle ore centrali - avvolto da coperte fino alla testa. Passa la vita lì, come agli arresti domiciliari, e muove il collo ad accompagnare ogni macchina che va, per il resto pare impagliato. Ci pensavo oggi, che sono sfilato un'altra volta davanti a lui, a quanto siamo diversi. Lui vive della sua immobilità, ne trae energia quasi, aggiunge tempo al suo tempo già gros

Via degli Oleandri

Uscivano dal cancello della scuola e s'aprivano sul prato come una rosa di pallottole, i bambini. Aspettavo Susanna in macchina, dopo aver portato sua madre a fare la chemio, tra via degli Oleandri e il parco davanti alle case popolari: avevo già messo una pietra sopra al futuro, al contrario di quelli che han la fortuna di metterla sul passato. Le mode dell'epoca - le canzoni, i tatuaggi - già sembrano preistoria, e son passati nove anni appena. Contavo i giorni davanti e speravo fossero più di cento, con la stessa formazione. In effetti la band perdeva i pezzi, qualunque progetto sottintendesse una gittata di tempo oltre il mattino successivo era fragile, e la paura si mangiava i contorni della speranza. Ci sono tornato stamattina, dopo un garbuglio di stagioni che mi hanno suonato come un tamburo, in quel quartiere dove m'ero creduto di aver diritto a una vita normale. Invece ai narratori si vede che toccano prove bislacche e estreme, come a Giochi senza frontiere , e g

Al massimo, segretarie!

Rivendico. Rivendico il diritto a pensare liberamente, per quanto la libertà sia una trappola: mi è capitato di credermi libero e di accorgermi in ritardo che invece ero prigioniero. Rivendico il diritto di sbagliare giudizio in buona fede. E rivendico il diritto alla non appartenenza: non voglio più ragionare per partito preso, d'ora in poi voglio capire le cose - o tentare di farlo - prima di aprir bocca. Qui nasce il problema del narratore, piccolo personaggio pubblico cui può nuocere tanta indipendenza. Glielo hanno detto, certuni: Statti accorto, gioca sempre su più tavoli, tieni il piede in due staffe, mostrati dalla parte del pensiero dominante, anche se cambia, a seconda del contesto. Così fa', se vuoi far carriera . E lui per un tratto di strada ha finito per crederci, a questa frescaccia, è stato attento a non contraddire ciò che non va contraddetto, a indignarsi quando era il caso, ha imparato l'ironia a comando e ne ha riso, a quella degli altri, anche quando