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Visualizzazione dei post da dicembre, 2023

Avventura di capodanno

Ero innocente, a parte il fatto che stavo mangiando una gran fetta di pandoro. Ma avevo pur sempre undici anni, come può essere colpevole di qualcosa, uno, a quell'età? La notte era finita ma il buio no: fuori della finestra tutto raccontava la tenebra, ogni filamento di stella, ogni passaggio di uomini ubriachi. Era il primo dell'anno, era domenica. E mangiavo il pandoro, ma non una fetta, ho mentito. Lo mangiavo a strappi, come cogliere ciuffi di manna da un cespuglio del vecchio testamento, e poi lo tuffavo nel caffelatte e quello veniva su tutto molle e gocciolante. C'erano sul tavolo le teglie della sera prima, piene di bicarbonato per staccare il grasso, e sul muro già il calendario del 1978. Mangiavo di fretta, una colazione di nascosto, prima che mi si facesse notare che divoravo troppi dolci, e che continuando di quel passo a vent'anni mi si sarebbero cariati tutti i denti. Mangiavo di fretta, ingurgitando aria, difetto che mi sono portato dietro anche da grand

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Rompere il guscio

Erri De Luca scrive che a dodici anni fu gonfiato di botte da tre ragazzini più grandi di lui e che questa disavventura anziché umiliarlo lo inorgoglì. Dice che non aspettava altro che qualcuno rompesse il guscio del bambino che era per farne uscire l'adolescente, e che da quel giorno fu grato ai guappi per quella crepa sanguinante, e per averlo fatto evolvere. Lo stesso vado cercando io. Non che mi riempiano di cazzotti veri ma che in senso figurato una donna, un amico, un gatto quando mi fermo per strada ad accarezzarlo, frantumi le abitudini che ho, le sciocche certezze costruite con ostinazione, e faccia nascere un altro Francesco. In che modo? Beh, per esempio mostrandomi una prospettiva di vita che non ho ancora preso in considerazione, provocandomi una tenerezza nuova, suggerendomi abitudini differenti da quelle che assecondo e che - ormai lo so - non hanno il potere di allegrare più di tanto le stagioni. La mattina dopo quella epifania, probabilmente avrei già modificato al

Il grande sonno

Facciamo finta che la notte stanotte non sia finita, che alle sei non sia spuntata l'alba e che tutti, in tutto il mondo, compatibilmente coi fusi orari, abbiano continuato beati a dormire. Magari dopo un piccolo soprassalto, come a dire Ma non dobbiamo alzarci? ma poi han visto che fuori era buio e si son girati dall'altra parte, ricominciando a ronfare. E facciamo finta che il giorno che non è nato fosse necessario per raffreddare i bollenti spiriti, svuotare i cuori colmi di rabbia, abbassare la pressione arteriosa, disarmare i violenti, dissuadere gli stati-canaglia da nuove invasioni. Durante tutto quel giorno che giorno non è, lungo il cammino di tutte quelle ore oscure, gli uomini hanno imparato la temperanza, hanno eletto la lentezza dei gesti, dei viaggi in macchina, delle conversazioni, dei pensieri, al posto della velocità e dello sfreno. E l'hanno imparato per l'appunto dormendo, quasi in modo subliminale, come qualcuno da universitario faceva con i libri d