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Visualizzazione dei post da aprile, 2019

Le case quando sono vuote

Una volta di queste giuro che faccio il gesto di andarmene, tutto il teatro dei preparativi del ritorno, gli avanzi della cena nelle buste Ipercoop, stacco il contatore della corrente e nel buio dò due giri di serratura. Ma resto dentro, acquattato tra il divano e il muro, sotto il quadro di Sara che ha rifatto Gaugain, trattengo il respiro e aspetto. La casa che crede d'esser vuota comincerà a sgranchirsi le ossa, stirerà le vertebre, cigolerà i cardini, e allora io saprò per certo che è viva. Il candelabro scolato di cera, il trumeau di Clara, il pouf blu che ti inghiotte, se fai tanto di sedertici: tutto si muoverà, e parlotteranno fra loro - quegli oggetti di arte povera - e si scrolleranno la polvere i cuscini, e la scansia dei piatti cupi ammetterà Finalmente se ne sono andati, quegli scocciatori . Le case, disabitate non lo sono mai, sono anime stanziali, tormentate o allegre a seconda del tempo, delle stagioni, proprio come noi. Io vorrei vivere il paradosso - e sperimen

Tutto qua

E così, di nuovo, è tempo di partire - un viaggio breve, beninteso, una piccola transumanza: la dolce collina che è Itieli, terrazza su una gobba d'Appennino selvaggia e lupesca. Vado per assecondare il sole, che s'è degnato d'alzarsi, finalmente, e per provare a riposarmi un po'. Per questo sistemo nella sacca da marine l'essenziale: un pacco di pasta, passata di pomodoro, crakers, prosciutto sotto vuoto, acqua minerale, caffè, dolcetti. E il computer, per scrivere - che scrivere è riposarsi - e un paio di storie da leggere, ma leggere , tanto basta spostare l'accento. Tutto qua: niente distrazioni social, niente selfie, solo la radura inclinata che affaccia al Censo e come pregio la mancanza delle cose che ho dimenticato in città. Aprile ha questo potere, ai miei sentimenti: mi rigenera, come un toner nel negozio di cartucce, mi spegne il furore di una approvazione che cerco, alle mie parole, con fin troppa premura. Una volta arrivato, il mondo che è stato

Il lato positivo di un disastro

Lasciata Tuscania e le sue torri di tufo, la strada etrusca viaggia per venti chilometri tra muri d'alberi e campi gobbuti, rare anse per l'inversione di marcia, certi altri paesi incollinati - Vetralla, Nepi, perfino Capranica, se divaghi un po' - e arriva docile a Viterbo, città papista e militare, dove fanno un gelato, due coniugi anziani, di soli tre gusti ma strepitoso. Torroncino, nocciola e vaniglia, l'ultima volta che ci andai - parlo di anni lontani e forse, dio non voglia, sono morti, quegli allegramondo - e li pescavano dentro al secchiello di alluminio, niente vaschette, e sporcavano appena il cono, e per saziarmici dovetti spendere una fortuna. Poi uscii alla sera di Tuscia - al cinema dirimpetto davano Truman show , - però quella volta la vita non mi parve una finzione; tutto, anzi, era come doveva essere: tenero il tempo della giovinezza, bardate di profumi, per il corso, le ragazze, e allegre, e tiepido l'aprile, e placata la mia smania. Smania d

Il malinteso della giovinezza

Non si vede ma ho le mani rotte, oggi che alla cura del tempo ho regalato fatica, e i polmoni compressi, e i muscoli attorcigliati; va così perché non so altro sistema che alla vita si intoni meglio: fango, sudore e polvere da sparo. Mi sporco di tutte le cose da fare, allora, come tuffare le mani in un fiume di vernici, e sono multimediale mica per scherzo, certe volte, giacché se faccio la spesa non vuol dire che contemporaneamente, col cestino a rimorchio, non chatti con Valeria attorno a un capitolo irrisolto, o non cospiri per andare a scrivere un po' in collina - sempre che qualcuno non mi creda con l'amante - per il fine settimana. Va così il mondo, quello dentro la mia testa, dico, che gira al pari di una giostra eccentrica, segue traiettorie tutte originali, e almeno con gli artisti, per questa lateralità, ha qualcosa da spartire. Così facendo taglio piccoli traguardi che sono figli della tigna: l'esperienza mi dimostra la saggezza del teorema, non c'è il ri

Napoli, bell'anima

Ci ho messo 52 anni per andare a Napoli, il diavolo sa perché. In tutto questo tempo però l'ho frequentata per interposta persona: film, romanzi, canzoni, e ogni volta era come se ne conoscessi un pezzetto in più, tanto che quando finalmente sono sceso - il 6 aprile - era come se ne fossi istruito. L'esperienza dell'arte - quei film, quei libri e quelle canzoni - mi avevano messo in guardia dai luoghi comuni, di modo che appena sbarcato ho cercato una conferma che li smentisse - una buona parte di loro, almeno. C'è appunto una canzone che racconta il panico del primo giorno per chi atterra su questo pianeta, ma poi - giura - si incomincia ad andare più a tempo. E in effetti quando stavo per intonarmi son ripartito, e quindi vi saprò dire se è vero, la prossima volta che mi fermo di più. Nel frattempo quel panico si era manifestato - comicamente - nell'affittacamere (laureata in scienze della comunicazione e insegnante di flamenco: non esattamente una perdigiorno)

Il contrario della tristezza

Viaggio con Leonardo Sciascia sul sedile lo spazio breve tra città e collina: dove son partito c'era il sole, a salire tutto si è spento, ma proprio di colpo - dietro il tornante che affaccia una macelleria - e lo stesso il mio umore, in tinta col martedì. La tristezza è come una buca in cui precipiti - quando avevo tre anni Pietro mi disse che Luigi Tenco era cascato dentro una botola mentre cantava, per nascondermi più che poteva la possibilità umana del suicidio, - e come da una buca è assai complicato venirne fuori. Credo però di aver intuito, ormai da qualche tempo, che quella bestia non è il contrario della felicità ma della soddisfazione. Mi assalta quando non sono soddisfatto di come ho vissuto i giorni che ho - una vacanza, una diretta in radio, una pagina scritta, una conversazione con chi amo - ed è un discorso che per certi versi si lega al concetto di responsabilità. In altre parole mi piace dare a garanzia del mio lavoro e degli affetti una dichiarazione di buona f