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Visualizzazione dei post da settembre, 2019

Un'incudine al collo

L'ultimo giorno di pioggia - tre o quattro or sono - piove come se dio non riuscisse a trovare un idraulico - e non è neanche domenica. Gli si è allagato il bagno, si vede: due dita d'acqua sul pavimento, e le infiltrazioni precipitano sulle nostre teste, inesorabili. Sto sopra ponte Allende quando arriva la scarica grossa. Un ombrelluccio a scatto - con Gatto Silvestro disegnato sulla tela - è tutto ciò che possiedo per difendermi. Vado a comprare la cena senza dar peso alle previsioni, che pure sono spietate. A metà del ponte, dove le mie scellerate scarpine estive fanno ciakcikciak , una ragazza con lo stesso guaio mio mi viene incontro, e un ombrellino ridicolo, rotto da una parte, con una stecca puntata contro il cielo - come un dito medio, come un insulto. Il marciapiede è stretto, su quel passaggio: da una parte il parapetto che protegge dal salto nel fiume; dall'altra la pista ciclabile, dove schizzano bici terrorizzate dal nubifragio. Quando

Il club dei fallimenti

Le cose sono cambiate. E non di colpo: impercettibilmente, centimetro dopo centimetro, come Civita di Bagnoregio, che si sfalda un niente al giorno e non te ne accorgi. In radio stamattina, finita la diretta - erano andati via tutti, scappati ad acciuffare il fine settimana, - ho girato da una stanza all'altra ricordando come fossero la prima volta che ci misi piede, e le prime stente parole. C'era la carta da parati al posto della vernice, un mixer meno moderno e i miei balbettii al microfono. C'era la mia giovinezza, che al contrario di Fossati talora ho tradito, decapitandone le smanie, accorciandone le stagioni. Ho preso a lavorare qua dentro che avevo trent'anni e adesso ne ho cinquanta. Quando è successo? Di notte, garantito: è di notte che la vecchiaia arriva, lei le malattie, e i presagi dei disastri, e che attorno al letto si radunano i fallimenti, e fondano un club. Ancora adesso, certe mattine è come se mi svegliassi da un sonno immane. Mentre dormivo alcune

Que viva Pedro!

Tra la fine di un racconto e l'inizio del successivo - già che mi sono messo in testa di scrivere un libro di racconti - esco di casa e viaggio; o do una regolata alle smanie, mi siedo e guardo film che ho perso, e non è solo un desiderio ma un peccato per il quale cerco espiazione. Esistono in effetti opere di cui ho solo sentito parlare e con cui avverto il bisogno di comunicarmi, come fossi il fedele sul corridoio che porta dal prete e dall'ostia. Sono convinto, da che faccio la scimmia dei narratori, che il sacro sia già negli esseri umani, del resto, e che si manifesti attraverso quello che inventano, senza bisogno di culti e religioni. Così vivendo arriva il giorno in cui ci si veste, si prende la macchina, si trova parcheggio, si fa la fila per il biglietto e poi si scopre che il film che volevamo vedere l'han programmato in un altro orario, e che quello sul sito era sbagliato. Non c'è tempo di aspettare lo spettacolo successivo, piove, la delusione brucia un

Lei

Fare una casa: quante ne ho fatte. E ho scelto ogni volta il colore dei sanitari - a me piacciono blu - e la ditta dei traslochi, e se la finestra dello studio - quando uno studio c'era - guardava a oriente o a occidente. L'ho fatta pensando a come ci sarei stato d'inverno - perché se una casa è quella giusta lo sai d'inverno, che abiti la stanza più buia e la illumini alla bisogna, ci piazzi una poltrona e ci giochi le notti a leggere. Ho vissuto in città, in collina, dentro a un palazzo e in mezzo a un bosco; ho vissuto progettando di cambiare, sempre, perché nessun posto era casa mia. E ho viaggiato così tanto tra le case perché sono in fuga. Scappo da lei . Ma lei mi ritrova sempre, ovunque io vada. Ancora ieri, è entrata in camera giusto a mezzanotte, che ero sul ciglio del sonno ma non ancora caduto. Mi ha abbracciato, mi ha stretto: ha le mani gelate, le ossa aguzze, mi ferma il sangue, il cuore. Se la racconto, come adesso, che è giorno, e tutto sembra un de

Olfatto

Copriti la testa col lenzuolo, non permettere che l'inverno ti prenda. Disponi le coltri in modo che i piedi non restino scoperti, né le mani: anzi, con le mani fai un risvolto e infilacele dentro, staranno al caldo. Lascia fuori solo il naso, all'inverno piacciono i nasi e devi concedergli un obolo, perché non sia troppo severo. Te lo gelerà solo un poco, ma non te lo farà gocciolare: sa esser gentile, se lo conosco bene. In ogni caso, mettiti un pigiama pesante, e aspetta la primavera . A ogni stagione accorciata, Zaira recitava questa stravaganza - era una zia di Pietro, era vedova, e una volta o due al mese saliva da noi a mangiare gli Oro Saiwa, così com'erano, secchi come una sentenza, dalla scatola che lei stessa si portava dietro da casa. Il passo corto, marziale, il vestito nero in ogni circostanza, le davano una fama paurosa, ai miei occhi, specie quando non c'era, e si annunciava al telefono. Son convinto però che quella storia dell'inverno, capace in

Il tempo è una stanza

A che mi serve studiare? - mi domandò una volta una mia allieva, sveglia e un poco superba, tanto da credere di essere sufficiente a se stessa. - Ho tutte le informazioni che voglio a mia disposizione, in un attimo. Posso essere ignorante e abile nello stesso momento: non ho bisogno della cultura per sapere come comportarmi . L'uscita era talmente enorme che mi affascinò a trovare una risposta che non fosse d'istinto, e le chiesi di pazientare un giorno: l'indomani avrei provato a replicare. Giocava con le provocazioni, quella ragazza: già altre mattine di quel tribolato anno scolastico - con cambi di sede, cattedre scoperte e avvicendamenti di presidi - gettava l'amo e aspettava che io abboccassi. Siccome però sono un vecchio pesciolino scaltro, prima di dargliela vinta provavo sempre a combattere, tanto che vinta non gliela diedi mai. Così quella sera ci rimuginai un poco, su quel che potevo dire: mi serviva qualcosa che fosse mio e basta, una risposta severa e one

Guarigione

Odora di ferro e salviette rinfrescanti, la donna che incrocio stamattina a metà di via Curio Dentato. Traina un trolley con due dita, saggiamente gravato appena di cose essenziali; le ruotine non stridono, sul marciapiede, fanno anzi un rumore di soffio, uguale ai ferodi del treno ad alta velocità da cui è di certo scesa, bella e consapevole. Come s'appiglia ai miei occhi sorride, abbassando la testa, però non rallenta: anche lei ha una destinazione esatta - mi sa - e non può accumulare ritardo. Spero scappi da un uomo che l'ha maltrattata, e corra da uno che sugli uomini le faccia cambiare opinione. Ha mangiato dei crackers, in viaggio, ci scommetto, la matita della fantasia - oltre il finestrino - a ricalcare le colline al principio dell'autunno, le case cantoniere, i passaggi a livello abbassati, i murales sui palazzi delle periferie. O magari è stata appena in vacanza, solitaria e leggera, cogli amori passati raccolti in un ricordo solo, come fiori di campo in un nodo