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Visualizzazione dei post da febbraio, 2020

Indiscreto

Dopo aver tirato sul prezzo, compro da un rigattiere genovese di passaggio a Narni un cofanetto di latta della Sperlari. Mi assicura che è vecchio di almeno cinquant'anni e che il proprietario, un sarto di Bordighera, finite le caramelle ci teneva i ferri del mestiere. C'è una serraturina che apre lo scrigno ma la chiave s'è persa. Belìn, ti faccio lo sconto - insiste lui a vedermi titubante, e questa gara tra la sua taccagneria congenita e la mia occasionale ha un che di duello rusticano. A casa, quando tutti son via e la pace si installa nelle stanze come un antivirus nel pc, mi dedico alla mia lampada di Aladino. Prima di rompere il lucchetto la sfioro come per risvegliare un genio, passo le mani sulle superfici bombate, rosse fiammanti, istoriate con bordature color dell'acciaio. Poi forzo l'apertura con un cacciavite - stando attendo a non rigare quel capolavoro che sembra che l'ha fatto Benvenuto Cellini - e inizio a pescare. Vengon su bottoni di madre

Bugie

Mi infilo a messa di sabato pomeriggio - in una chiesina di campagna linda e a forma di cuccia di cane - e non lo faccio mai. Non perché sia scettico ma per via che son sicuro che dio si annoi, a sentire tutte quelle litanie, e che preferisca - appena i fedeli stanno tutti a capo chino - uscirsene a sgranchirsi le ossa e a fumare una paglia. Se cammino là, attorno alla pieve, c'è il caso che lo trovi più facilmente seduto su una pietra miliare, e che a vedermi gli venga il ghiribizzo di spiegarmi la sua versione dei fatti. Oggi però mi andava di sentir predicare un po' di pace, e così sono andato. All'uscita mi guardo in giro e c'è in effetti un tipo che mi fissa, appoggiato col sedere al cofano della mia macchina. Non ha l'aria dell'onnipotente però, neanche di striscio: al contrario regge in faccia un ghigno fastidioso, come una maschera. Solo, non gli vedo l'elastico. Mi fa un cenno e mi apostrofa: Bravo, bravo: sei andato a sentire un po' di putta

Una lezione d'altri tempi

Ai tempi in cui non avevo nemmeno un capello bianco, sulle stesse scale dove solo sette anni prima avevano sparato a Bachelet, mi innamorai di una ragazza complicata. Scienze politiche lei, Lettere io: che diavolo ci fossi andato a fare nella sua facoltà non me lo ricordo. Ricordo che i suoi occhi erano una trappola, il suo sedere un'invenzione di dio, e ci lasciammo andare per un po' a una divertente perversione, e saltai così facendo un paio di sessioni d'esame. La accompagnai tre o quattro volte a lezione e ogni volta era un casino indescrivibile, quell'aula magna. Il corso di Statistica lo teneva un prof associato e naturalmente non se lo filava nessuno. Al contrario: lo schernivano, e mentre lui tracciava grafici sulla lavagna e diagrammi cartesiani - o quel che diamine fossero - gli tiravano bucce d'arancia, lattine accartocciate, e lo canzonavano imitandone la voce chioccia. Lo stesso faceva la mia amica, finché mi scocciai e le dissi quel che pensavo: ch

Il ladro

L'ho sorpreso a leggere La volpe e le camelie , il ragazzo che mi è entrato in casa: aveva negli occhi i miei occhi di un tempo, quella speranza triste, la stessa fiducia nell'avvenire, l'inclinazione alla malinconia ancora in potenza, il coraggio di tener testa a suo padre. Mi aspettava, io credo, e ha fatto il gesto che mi avvicinassi dalla medesima poltrona su cui le mattine d'inverno di mille anni fa ripassavo il piuccheperfetto e il concilio di Trento, prima del bus delle sette e venti sulla piazza fosca, ammantellata di freddo. Ha trovato uno spiraglio, ci scommetto - il portoncino del locale caldaia socchiuso - e si è infilato già che tutti dormivamo, e non gli è parso vero di sentirsi padrone: della notte stellata e delle stanze. Lo so che è tornato per restare poco, giusto quel che gli serve perché io lo riconosca, e lo rassicuri. Son rimasto in piedi di fronte a lui, vecchio e costernato. Ha preso a chiedermi come sarebbe andata tutta la faccenda, non solo

La vita complicata

Anni fa, alla fine di una lezione impegnativa per me e per la classe, un ragazzo si avvicinò titubante alla cattedra e chiese il mio aiuto. Disse che le cose che raccontavo erano tentazioni ma che non riusciva ad assecondarle, combatteva anzi per tenerle lontane da sé, le trattava con distacco. Quando gli domandai di che diavolo avesse paura mi rispose: del cambiamento . Temeva cioè che superando i suoi punti di riferimento - le sue canzoni basiche, le trasgressioni obbligatorie della giovinezza, la repulsione per i libri -  potesse perdere le coordinate della vita, come abbandonarsi al mare aperto. Lì, nel porticciolo delle cose consuete, si sentiva a suo agio, protetto, e aveva attorno la claque degli amici a dargli man forte, che tutti avevano lo stesso vizio. Un vizio? - mi domandò. Certo che sì : - gli risposi brutale - è un vizio star fermi per paura che muoversi implichi fatica, e impegno supplementare . Lì si risolse ad ammettere che era proprio a quel tipo di cambiamento c