Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da dicembre, 2021

Capodanno

Il sole si bagna nel mare di Corfù, ho diciannove anni, è il 1986. L'albergo ha i muri bianchi, e col blu dello Jonio mi fanno venir voglia di rimanere qui per sempre, di farmi greco, aprire una botteguccia di αμφορείς e campare felice per il resto dei miei giorni. La mia ragazza ha la pelle salata, ha detto Vado a togliermi la sabbia di dosso , è sotto la doccia. Mi lascerà tra due mesi e diciassette giorni, il ventotto di ottobre, per stare con un tale che lei definirà più strutturato , ma in questo momento non ne ho il minimo sospetto, e allora la vita è grandiosa. Sotto la finestra dalle tende gonfie di vento passano i venditori di corbezzoli e si chiamano l'un l'altro con nomi che somigliano a quelli degli eroi omerici ma senza averne la ferocia: ridono, si raccontano barzellette sconce, si danno appuntamento in taverna. Siamo qui con altri due amici, alloggiano tre camere dopo la nostra, un altro uomo e un'altra donna. Siamo all'avventura ma i soldi stanno fin

Regalo di Natale

  Tu che dici di conoscermi, che hai viaggiato con me un gran pezzo di vita, dimmi: io chi sono? Tu che hai parlato di me alle tue amiche, e hai confessato loro di amarmi, dimmi: io chi sono? Tu che mi prendevi la febbre, e stavi in piedi tutta la notte quando deliravo, dimmi: io chi sono? Tu che per troppo amore, o per amore mal controllato, mi hai deriso davanti alla gente, dimmi: io chi sono? E tu che mi ti sei trasformata agli occhi e sei la ragione di ogni spavento e della felicità, dimmi: io chi sono? Raccontate Francesco a Francesco, anime mie, svelatemi, illuminate il palcoscenico, non abbiate paura. Ho questo desiderio: che mi definiate, che mi indichiate quel che posso solo immaginare, quel che non arrivo a intuire, quel che è storto e quel che è dritto di ogni mio gesto, e infine quel che biasimate sottovoce della mia natura. Gli uomini non si apprendono se non nel giudizio degli altri - io temo - e allora siate giudici, siate pubblico ministero e corte di cassazione, siate

Io, lettore

Ma te, che hai letto tutti quei libri, a che ti sono serviti? La domanda arriva come un colpo di mannaia mentre devo ancora mettere il caffè sul fuoco, alle sette del mattino di una domenica di freddo trasparente. Mi scrive un tale che non conosco, e poi rincara la dose commentando acidamente un video sui Beatles del mio canale Youtube. Non so come lei faccia a sapere che ho letto un po' di libri - gli rispondo - e comunque le confesso che sono assai di meno di quelli che avrei potuto . Chiudo lì la conversazione - non me ne importa più di tanto - e faccio colazione con le tovagliette natalizie. Poco dopo, lavata la tazzina e messo via il panettone, ripenso a ciò che ho risposto a quel provocatore - ce ne sono, è un mestiere come un altro, solo più stupido perché non ci guadagni un soldo. E a un verbo che mi è uscito al posto di un altro, più ragionevole. Ho scritto Avrei potuto , non Avrei voluto : ci passa tutta la differenza del mondo, come chiunque - tranne quel tapino - può

Punto e a capo

E all'improvviso, cinque minuti fa, mi sono accorto di essere felice. Felice di una felicità pedestre, beninteso, una felicità bagno camera e cucina, angusta, con la effe minuscola, ma che si ostina a sopravvivere nonostante , anzi che gioca il nonostante a suo favore. Non contano allora gli anni che passano, i vicini molesti, i guai che lampeggiano all'improvviso: tutto si ridimensiona, tutto lascia il tempo che trova, e io alle seccature gliene mollo meno che posso. Così facendo, quelle si stancano e vanno via e il tempo che a loro volta lasciano sono io ad abitarlo: di fantasie che mi danno allegria e del senso compiuto dei giorni. Ho scoperto - e non è che ci volesse molto ma non sono uno che ci arriva subito, sulle cose - che se dai densità, mettiamo, a un martedì, lui quando finisce ti lascia addosso un che di soddisfatta euforia, una patina biancastra come quella che si posa sul cioccolato quando invecchia. Ecco, io invecchio con una sorta di appiccicosa armatura spalma

La vergogna

Alle sette del mattino l'ambulatorio è già affollato, siamo tutti in fila, in attesa che ci prelevino il sangue. Ogni tanto da una porta esce un infermiere che chiama un numero - la persona con quel numero in mano entra a capo chino dentro un corridoio stretto e lungo, pavimentato di linoleum verdognolo, che termina in un disimpegno dove ci stanno tre seggiole senza schienale. Fuori, noi che siamo in piedi parliamo di malavoglia, e solo per commentare la lentezza delle operazioni, e il freddo che sventaglia dall'ingresso principale. Tutti teniamo in mano la nostra urina. Chi in un cilindro di plastica, chi in un bicchiere graduato, chi in una bottiglina da succo di frutta. Tutti abbiamo avvolto quei contenitori nella carta stagnola, o in un kleenex, o dentro tre o quattro tovaglioli decorati, e li stringiamo al petto, li nascondiamo dietro al giornale, ne abbiamo vergogna. A un certo punto arriva un uomo grande e grosso, uno spaccamontagne, pretende di saltare la fila, dice che