Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da agosto, 2021

L'amore che preferisco

Quando scrivo d'amore qualche volta ho il sospetto di scrivere di una cosa che non conosco, e che quindi per me non esiste. Quando scrivo d'amore spesso sono equivocato. Quando scrivo d'amore certi amici ci leggono il loro concetto di amore, non il mio: me ne rammarico, è evidente che non sono riuscito a raccontarlo bene. L'amore vero è eterno , han scritto talora sotto i miei sproloqui, sotto le nostalgie, credendo che io ne abbia provato la vera natura e soprattutto che mi prema sia illimitato. Allora sarà il caso, per i miei quarantasette lettori, che provi a spiegarmi. Non ho mai pianto per amore nel senso comune per cui si piange per amore, né ho mai capito il significato di tutti gli stereotipi sull'amore. Li ho sempre trovati finti, costruiti, ho spesso pensato che incarnassero ciò che i sognatori di sogni inconcreti, i lettori di Nicholas Sparks, sperano l'amore sia, non ciò che è veramente. Dirò qui allora, a lettere di fuoco, che non vivo per infinita

Cirano

  Tra le memorie ostinate, misteriosa più di tutte è quella degli odori. Non ho idea di come funzioni, di quale chimica la scateni, ma so che è dolce e turbatrice. Vive nell'alchermes per la zuppa inglese, negli atri delle caserme, nelle cartolerie muffite, negli alberghi di Cattolica e nei mobili lucidati di trementina - in fondo agli empori dell'usato. È una relazione libera, quella fra i ricordi e il mio naso: si accoppiano quando pare a loro, spesso all'improvviso, e fanno la malinconia. La prima volta me ne persuasi in una bottega di fornaio: avevo finito le elementari, da un anno andavo alle medie. La panetteria stava in coda a via Marcellina, mi ci mandò mia madre a comprare un rinfresco. L'odore di quel posto - farina secca, ferro di teglie, biscotti all'anice, lievito di birra  - mi precipitò indietro, a una stagione recente, quando per andare a scuola passavo là davanti e talora sostavo, aspettando che arrivassero i miei amici, i ritardatari, per correre i

Le nuvole

  Succede mentre faccio la spesa, o l'amore, o mentre dormo. Succede mentre mi rado e poi pulisco il bagno dai peli e dalla schiuma, mentre passo lo straccio, mentre lavoro con la voce, mentre studio, mentre scrivo per diletto, mentre ingurgito otto buste di Isocolan in quattro litri d'acqua, maledicendo la vita. Succede mentre stiro a ferragosto, mentre scarico un disco di Branduardi, e succede perfino la notte, mentre insonne rivedo Caro Diario e l'ultimo episodio somiglia così tanto - così forte che sa di spavento - ai miei acciacchi recenti. Perché esistono due realtà, io credo: quella visibile e quella invisibile. Sono concentrato sulla prima e cerco di fare del mio meglio. Ammetto per esempio che il mestiere di padre è l'unico che mi impegni allo spasimo, l'unico che mi sfianchi, ma è una fatica che poi mi ricambia con soddisfazioni longeve. Del resto a volte preferirei dover gestire una centrale atomica invece di una figlia, ma è una tentazione che dura un at

La pulce d'acqua

C'è dunque questa prospettiva non trascurabile che si canti per il perdono. Che si manifesti un qualche estro, un'arte anche di seconda mano, perché qualcuno ci condoni le alzate d'ingegno, e tutte le eversioni. Mi piace assai l'idea che quel che mi fa scrivere sia il bisogno di una questua, l'elemosina di un'amnistia. Io scrivo cioè non solo per divertimento, per vanto, ma perché la scrittura è moneta di scambio: che idea fenomenale. Scrivo per tornare innocente e perché a dio - ecco chi è quel qualcuno , in qualsiasi forma lo immaginiate - piace la vitalità degli uomini, quella creatività che  li fa teneri e tracotanti. E allora scriviamo, e allora cantiamo, e alziamoci dal nostro posto e balliamo il tango, e allora viaggiamo con la fotocamera al collo per l'Andalusia, e facciamo l'amore a volontà - che pure lui è gran arte -  perché i sedentari, gli astinenti, ingrassano e credono solo alla televisione. Il canto per redimere i peccati è quanto di più

Se vivessimo per sempre

A dire che la vita è bella perché finisce, ti guardano male, ti danno dello svitato. Eppure è proprio quella zoppia la sua forza: è come se un difetto diventasse pregio. Ci ragionavo sportivamente stamattina, mentre salivo a Itieli a dar da bere alle piante di Rita e a sfamare i gatti che non sono di nessuno, e quindi si rimpinzano in tutte le case fingendo da paraculi di esser sempre a pancia vuota. Pensavo, nello specifico, alla settimana che viene, zeppa di impegni prima delle ferie: il fatto che mi ci dedichi con la necessaria concentrazione e facendo del mio meglio deriva proprio dalla costante memoria della morte, della fine di tutte le seccature. Non crediate che esageri. Provo a spiegarmi meglio, ragionando per assurdo. Certo che ho desiderato essere eterno, tra le stagioni dipinte a tenerezza. Più di qualche volta. Per esempio quando la sera era tiepida, il vento soffiava le onde dell'Egeo come dentro un aulos e una donna innamorata, bellissima, mi corteggiava. Quella vita

Il giorno che m'innamorai dei ricordi

Se mi fossi chiamato Numa o Galeazzo, se mi fossi chiamato Severino, magari avrei facilitato il compito a quelli che a scuola prendono per il culo gli eccentrici e i silenziosi - pregi che a otto anni avevo già - ma può darsi che avrei scansato questo destino da meditabondo - questa sorte da viandante delle solite strade - che mi veste come una giacca su misura. Mi sa che il nome che portiamo scolpisce un po' il carattere, e Francesco Franceschini non poteva che essere un uomo a cui le cose sognate, le vite vissute, tornano addosso, affezionate e violente. Leggete bene il mio nome: la ripetizione, l'eco, sono già in quel battesimo. Eccola allora, la memoria: faccio per cacciarla come un urlo ma quella rimbalza sulle pareti verticali dei palazzi, sulla cresta delle colline, e mi ricasca addosso, e a quel punto sto da capo a dodici. Quando successe la prima volta?  Non mi sento di giurarlo in tribunale ma poteva essere un autunno degli anni novanta, - camminando per la via rotta

Una pioggia di rane

Ho il sospetto che uno dei film più importanti degli  ultimi venticinque anni sia Magnolia , di Paul Thomas Anderson. L'ho rivisto nel fine settimana, complice il caldo furente che mi ha costretto in casa, e non lo ricordavo tanto definitivo. E nemmeno tanto isterico. Importante, definitivo e isterico: mi piace battezzarlo così, sono caratteri che gli calzano a pennello. Provo a spiegare perché. Parliamo di un film con alcuni difetti - per esempio dura più di tre ore e certi passaggi son allungati come gomma americana - ma anche con vari indiscutibili pregi che non avevo colto del tutto la prima e unica volta che lo vidi, nel 1999. Direi che è un film che parla soprattutto di due ostinazioni, dannatamente attuali: quella del caso, ingestibile per antonomasia, e quella del vizio, che è tutta umana, e dunque tutta una scelta. Andiamo con ordine. Quel film è importante - prima definizione - perché mescola con molta abilità quelle due ostinazioni, le frulla insieme, tanto che non sempr