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Visualizzazione dei post da agosto, 2017

Tenebrosa

Il mio sogno ricorrente è fare un viaggio su una diligenza, coi cavalli, il cocchiere, il forziere dell'oro e quattro compagni d'armi, d'inverno, in una contea selvaggia, coi lupi a rincorrerla e ad abbaiare alle ruote. Darei un centimetro d'altezza per una cosa così, purché duri abbastanza da farmi passare la voglia. Una settimana, dico, una settimana a spaccarmi la schiena sulle assi di legno di quel trabiccolo, sulla strada sterrata che lacera due file infinite di alberi, un bosco fitto come la foresta nera. Ci fermeremmo a cambiare i cavalli in qualche stazione di posta dove il montone non sia rancido, e dormiremmo sui pagliericci in uno stanzone oscuro, illuminato da un camino gigantesco, tutti insieme. Le ombre degli animali, fuori dai vetri, il woof degli orsi all'affacciarsi della radura, i respiri gelati, le coperte avvolte ai corpi, la resina che scoppia nel fuoco: tutto concorrerebbe a farmi scrivere un grande romanzo. E il mattino appresso ripartire,

La città non mia

Stare soli per un giorno ha il vantaggio di rallentare la corsa - della spesa, degli uffici - e rimandare gli avvenimenti, cosicché posso guardarli da lontano ancora per un po'. Se tiro il freno, le cose che devono succedere non mi assaltano con l'impeto che di norma hanno, e mi regalano tempo, e brani di bellezza. Me la prendo comoda, allora, e rivedo la città nei suoi camminamenti antichi, li ripasso come a penna una linea a matita, rifaccio al contrario certe vie che attraversavo ragazzo in cerca di un angolo buio dove toccarti, te che mi scansavi le mani, e ridevi, e dicevi Ci vedono . E certe piazze sventrate che un tempo erano composte - conchigliette abitate da gelatai, banchi di albicocche candite, - sì, le taglio longitudinalmente anche loro, fin là dove posero chissà quando la testa di pietra di un leone - e chissà perché. Progettammo una vacanza, nei pressi, la prima da soli, e alla tipa dell'agenzia confessammo ingenui di non essere sposati, tanto che lei sba

Tardèl

Non che fossero gran bevitori, quelli della mia famiglia; anzi, non ricordo una sbronza che è una, non ricordo intemperanze alcoliche, parole incoraggiate dal vino, allegrie alticce. Pure, piaceva loro bere bene, e fuori dal frigo per non addolcire il giudizio con l'affanno della sete - d'agosto, tipo, quando il sole implacato picchiava duro. Così Gastone, intraprendente e ancora scapolo - si sposò a cinquant'anni - volle fare un regalo agli altri. Immagino fosse settembre e la vendemmia quella dell'anno prima. Sto di nuovo parlando degli anni settanta: quando ne avete abbastanza, ditelo. Comunque uscì di casa e in capo a un paio d'ore tornò, e quando tornò reggeva una damigianina da venti litri. Ci basterà fino a Natale , annunciò, e gli altri Ma tutto insieme, via, costerà , per cui aggiunse Non voglio un centesimo: pagarlo è pensiero mio . Mi infatuò - e la novità; e l'odore aspro del sughero imbevuto che avevo intuito in terza elementare dentro San Martino

È una giungla, là fuori

Ho di Jerry un ricordo a strati, come una torta nuziale, un ricordo sopra l'altro, uno per ogni epoca della mia vita. Pensavo fosse una specie di cartone, senz'anima e senza carne, eterno - il primo strato; - poi me lo sono ritrovato sofferente di fibrosi polmonare su un settimanale che una domenica Pietro portò a casa - il secondo strato. Lì la faccia del clown si contraeva in un dolore fitto, tanto che pensai ne avesse per poco. Capii che anche i comici potevano morire, passò del tempo e non avvenne; così cambiai idea e immaginai fossero esentati dalla fine, quelli che avevano fatto allegro il mondo. Il terzo strato fu quando lo rinvenni scorbutico e sobrio in un film di Scorsese, in cui faceva se stesso per la prima volta. Si era sgiaccato del suo primo abito d'attore, delle smorfie, e non sembrava star così male. Era perfido e seccato, odiava i fans - come immagino abbia fatto davvero fino all'ultimo. Lo detestai perché lui desiderava quello: i grandi interpreti ot

Una storia di fantasmi

Dieci anni fa andavo in televisione una volta alla settimana a parlare di calcio. Ne facevo un piccolo vanto, come di chi si ritrova in un contesto alieno e inorgoglisce di diversità. Mi piaceva raccontare le partite romanticamente, in modo imprevedibile, come han fatto Gianni Brera e Vazquez Montalban. Ho sempre trovato il calcio una lampante metafora della vita: appassionante, noioso, frustrante, sensuale, come lei è. Altri sport la sfiorano, la rappresentano meno nitidamente. Il calcio la sublima, canta e scolpisce con impressionante fedeltà. Anche ai particolari. Magari una volta di queste mi dilungherò sull'argomento. Stavolta mi preme altro, mi preme dirvi cosa accadde una sera, dopo la trasmissione. Per il fatto che oggi - senza un motivo - la stanza dentro la testa nella quale il ricordo era chiuso si è aperta di nuovo. E lui è uscito. E quindi. Capitò mentre risalivo in macchina, mezzanotte passata. Gennaio, foschia, i semafori a galleggiare in un'aria densa che ne s

Un mondo migliore

Come in altri giorni lontani che han gli stessi nomi di quelli di adesso - e i numeri, e l'astenia, e il caldo cocente, - così oggi ho annusato nella memoria l'identico loro odore appiccicoso. È lei che a tradimento scova dentro stanze solo sue il quando e il posto - intorno al '93, un angolo scuro dove forse ho spostato un secretaire lucido di lacca - e le coordinate portano ancora alla mia giovinezza. Laggiù salivo le scale di casa ed era - dopo la tabaccheria - una promessa di sollievo: dalla fatica al riposo misantropo di libri e canzoni. Già alla prima rampa mi faceva incontro il profumo di frutta a bollire, di zucchero arrosto, e il rumore delle cucchiaie di legno sul bordo del tegame - deng, clonk , tatunk - a scrollarsi l'impasto. Appresso, le voci di Bruna e Rita - Non farla addensare; Girala sempre nello stesso verso; Mica è il primo barattolo che riempo! e bisticci tra le pause a turno per riposare il braccio. La marmellata, facevano. La facevano, è la pur

Tabaccheria

Dicono che il primo temporale d'agosto spenga l'estate, come tuffare un ferro rovente dentro un bacile: sfuma, e poi quando l'afferri è tiepido. Così anche stavolta ho aspettato la pioggia: per rinsavire. La stagione feroce non fa per me, sono nato a gennaio. Mi entra in casa e spalma sulle pareti uno strato di asfissia, ed è come stare in una piscina di fango. Però stamattina è arrivato, l'acquazzone: forte e tempestivo - mentre uscivo di casa. E il solito viaggio - dalla collina dove abito da un anno fino alla radio dove lavoro da diciotto - è stato nostalgia, per quei ricordi che ti afferrano quando basta una somiglianza tra oggi e loro. Pioveva d'estate anche quando vivevo in tabaccheria a grandi ore, improvvisamente; si scuriva il cielo, brontolava come Gino alle prese con un cliente molesto, sgombrava i tavolini all'aperto di tutti coloro che aspettano la morte al caffè, per tutta la vita, e iniziava a precipitare dappertutto. La pioggia era in quel fra

L'estate di Monk

C'è questa regola triste per cui se a un uomo gli levi la passione della vita, muore. Come spegnere la luce in una stanza, come smettere di raccontarsi. Così Mauro se n'è andato, appena dopo che gli hanno imposto la pensione - obolo terminale che non dà scampo - e in capo a cinquant'anni spesi a vendere giornali. Non era un mestiere, a quelli si sopravvive. Era - per sua ammissione - il senso del levarsi dal letto, e del combattimento. Non li fa fuori una qualche malattia, una distrazione, coloro che reggono questa fortuna: il cancro e i tamponamenti feroci sono solo strumenti. Li ammazza il niente che di colpo si ritrovano addosso, la messa a riposo delle celesti abitudini. Perciò io scrivo forsennatamente: per restare attaccato alla vita, per farle capire che è il mio modo di onorarla. Purtuttavia. Purtuttavia piovono giorni torridi e tristi, sì, quanti ne voglio. E l'ansia si mangia il sonno come un topolino i contorni del giornale. Ma appena posso lancio un sasso d