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Visualizzazione dei post da novembre, 2018

Gli irregolari

Parlavamo dell'utilità dei libri, poco fa, a tavola. Una cosa che è venuta con sè, mentre aspettavamo il dolce, e qualcuno l'ha negata, non io, che coi libri ci convivo come un amante ostinato. Ho provato a dire che leggerli fa la differenza, che se incontri una persona che legge te ne accorgi, generalmente ha idee plurali, punti di vista poco granitici, curiosità per cose che vanno lontano, per le parole e la loro scorza, per le parole e la loro sostanza, e l'albero genealogico che le ha camminate fino a noi. Non ho convinto nessuno dei detrattori e non era mia intenzione: compito degli umanisti non è convincere, al massimo discorrere. Che è una cosa che mi piace assai, al pari della pizza napoletana e del gelato al torroncino. Così come credo che aver confidenza con le storie ben raccontate migliori la nostra vita e accorci le distanze dal prossimo, allo stesso modo sono certo che essermi invaghito di certe traiettorie di pensiero, di certe frasi-libellula, di certe af

Il viaggio è cominciato

C'erano e ci sono, attorno al tavolo, in platea, coi gomiti sulle balaustre, certi convitati sornioni che non vedi, eppure senza di loro niente si può. Io non potrei partire, sbagliare strada, chiedere ai passanti, stare in ansia perché faccio tardi, impazzire per un parcheggio, se quelli non fossero là ad aspettarmi. Hanno nomi mica da ridere: Proust, Tolstoj, Hemingway, Scott Fitzgerald, Flaubert, Calvino, Buzzati. Hanno battesimi impegnativi, che appena li evochi - innocua seduta spiritica - allargano sorrisi sulla facce, o sbalordìo, e talora producono curiosità di lettura, tanto che finisce sempre, qualcuno dei corsisti, per chiedere al libraio che ci ospita: Ce l'hai? La Scrittura della Memoria è in moto, il viaggio è cominciato. Una volta da ragazzo invidiavo i cantanti, che facevano tour pazzeschi, non tanto per il fatto di riempire gli stadi, quanto perché stavano ogni giorno in un posto diverso, e conoscevano gente nuova, e andavano a cena con la band alle due di

L'ultima poesia

Due anni fa ho smesso volontariamente di insegnare. Da un giorno all'altro: sono andato dal capo d'istituto e le ho detto Per me la faccenda finisce qui . Un gesto d'istinto, che alcuni elessero incauto. Rita per esempio non faceva che ripetermi E adesso? In tutto questo tempo ci ho ripensato, talora, a quella frattura. Il tempo stesso, la distanza che ogni giorno si ingrandiva, mi ha permesso di vedere più nitide le cose, come se gli occhi si acuissero a guardare l'orizzonte infinitarsi. E a parte Montale, io credo di avere oggi, finalmente, la risposta a quel mio reato non punibile, e non penso che la cambierò negli anni a venire, come uno che a poker ha in mano carte vincenti. Insomma, pensavo di aver mollato la scuola per il sospetto di non aver più nulla da darle, dopo sedici anni. E questa cosa aveva però suscitato un paradosso mica male: com'era possibile che mi fossi inaridito nel momento in cui invece trovavo le energie per cambiare vita, comporre un al

Federico Fociani

Una domenica come oggi, ma di un millennio fa, novembre assolato, tabaccheria chiusa, Gastone raffreddato, e Pietro che si divincola dalla severità e mi porta a fare un giro per Narni - io che lo imploravo di accontentarmi da quando, a due anni, già insonne, a notte alta recitavo Papà, 'ppello e 'potto, 'ppello e 'potto. Sì? Forse ha cominciato in quelle notti complicate a considerare la paternità un'idea non così geniale ma ormai ero lì, non poteva rimandarmi indietro. Così quella mattina larga di novembre, fredda il giusto, già allegra del Natale che sarebbe arrivato - per la mia consueta immortalità a tempo - afferrò davvero cappello e cappotto e mi portò fuori. Girammo poco, si fermò in edicola e mi comprò l'Almanacco Topolino. Tornammo indietro, leggeri. Al Belvedere - chi conosce Narni sa di che parlo, chi non la conosce progetti un viaggio - ecco che ci vengono incontro Fulgenzio e Federico, un altro padre e un altro figlio da soli; ci parve come di ca