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Visualizzazione dei post da giugno, 2021

L'ultimo giorno di mare

  La mattina dell'ultimo giorno di mare io ripasso i miei passi, e per farlo mi serve del tempo. Per questo mi alzo prestissimo, prima del giornalaio, prima del ragazzo che pulisce la spiaggia, prima che il giocatore di carte ricompaia sulla porta di casa, assonnato e al verde. Prima. Mi alzo e riannodo nella memoria tutta la settimana di vacanza, dalla domenica salto al sabato, dal sabato al venerdì, dal venerdì al giovedì. Le cartolerie che la sera hanno esposto sulla piazzetta i portachiave coi nomi di battesimo e i libri di Cortazar, ora son  chiuse coi lucchetti, le serrande abbassate. Ti ho comprato un fermacapelli col tuo bel nome sopra, ricordi? Era appena sei ore fa. Lo hai messo in borsa, dicendo Non ho uno specchio, lo provo in albergo , e poi ti sei emozionata quando ti ho corteggiato, mentre aspettavamo la pizza. Hai detto Smettila , ma teneramente, perché temevi ci ascoltassero quelli dietro, moglie e marito, che si erano zittiti di colpo, e ridacchiavano. Ho camminat

D'estate, tra le otto e le nove

C'è un'ora di bellezza perfetta in cui il tempo ragiona per conto suo, smette di assecondare il ritmo degli uomini e si ferma - sospeso sulle teste - a farsi contemplare. La prima volta quell'ora io l'abitai che ero ragazzo, all'epoca in cui non si potevano leggere i libri sugli schermi o far lezioni da casa su Giorgio Caproni, abomini che nessuno aveva ancora inventato. Avevamo per cui più modo di guardarci attorno, di accorgerci delle cose, di vivere accanto ad altri esseri umani, il che non è necessariamente un disastro. La città in cui stavo - forse Venezia, forse Instanbul, forse nessuna delle due ma una più ordinaria - mi apparve dai vetri giganti di un hotel cinque stelle, ed era rossa e rossastra, amaranto, azzurra e arancione, a seconda di dove rimbalzavano i raggi obliqui del sole al tramonto. I più sfrontati pigliavano di spigolo i palazzi e precipitavano sulle terrazze, sulle altane, ed era poi come se quella tempera di luce schizzasse ovunque - negli oc

Alzare il culo

Nell'estate del 1984 a Sanremo conobbi Francesco Di Giacomo. Avevo sedici anni e lui trentasette, andavo a comprare un ghiacciolo al bar dello stabilimento balneare e me lo ritrovai lì, barbuto e imponente, a giocare a Pong contro se stesso. Lo riconobbi subito perché già allora avevo cominciato ad ascoltare musica per conto mio e lui era il frontman del Banco da una dozzina d'anni, eppure sembrava che là attorno nessuno se ne meravigliasse. Mi trovai a fissarlo finché si voltò verso di me e mi chiese Sai giocare? Vinsi una partita e lui cinque o sei e alla fine ci sedemmo a un tavolino sulla spiaggia, a bere orzata e succo di fragole. Gli dissi che sapevo chi fosse e lui allargò un sorriso di compiacimento - tenero però, e tutt'altro che presuntuoso. Parlai soprattutto io, lo rimbambii di chiacchiere, e gli confessai che andavo lì tutti i pomeriggi perché verso sera arrivava sempre una ragazzina che era un incanto. Naturalmente non sapevo neanche come si chiamasse. Si av

Gran Turismo

  Quando io partirò, resterà tutto tranne me. Sarà come andare in ferie senza bagaglio, ma con addosso il vestito migliore, come svuotare le tasche dagli spiccioli sapendo che non comprerò più il giornale. Tutti quegli oggetti che ho accumulato, tutte le migliaia di acquisti che m'hanno impoverito e reso felice, resteranno qui e io sarò altrove, e così le porte medievali della mia città, sotto le quali passeranno auto e gazzelle della polizia, scooter truccati e ragazzini a piedi, in cerca di un campo di pallone libero dal wifi. Sono innamorato delle cose che possiedo e m'innamoro delle cose che vedo nelle vetrine, di certi secchielli per tuffare i fiori che vendono a sconto, azzurri e così graziosi che arrederebbero perfino casa mia, e ogni volta che ci passo davanti ci faccio un pensierino e poi desisto. E mi tentano quei giradischi vintage con la scocca e il contrappeso cromati che nei mercatini di quartiere danno via a una fortuna, da soli o assieme agli album dei Bee Gees,

Guerre di cui nessuno parla

Se tra poco, per avventura, tornassi dove stavo tre ore fa, ecco, sarebbe un casino. Perché tre ore fa sono stato da dio e adesso i tavoli sarebbero vuoti, e il gazebo scomposto, e gli invitati a quella cresima avrebbero già fatto fagotto, tutti, chi in cerca di un Alka-Seltzer chi dell'ombra regale di una quercia. Poco ci posso fare: è la mia sciocca poetica a riportarmi sempre sugli stessi discorsi, e m'inganna: più credo di andare avanti più torno sui miei passi, su quello che mi squinterna - la nostalgia a breve termine, la solitudine dopo che c'è stata buona compagnia, le parole che abbiamo detto e che quando torno sono là, appese al vento, non cadono ancora per terra. Ci stanno echi di tenerezza ovunque vado, purché sia un posto dal quale sia appena partito, neanche da mezza giornata: un teatro all'aperto, una balera dove ho ballato il tango, una chiesa sconsacrata dove han celebrato un matrimonio tra due uomini. Oggi avrei avuto a che fare con la stessa invisibil

Futile

E così, dopo una collezione di splendidi disastri che mi han fatto dubitare di dio e della sua deontologia professionale, ecco che le cose riprendono a marciare per il verso giusto, le cure si sciolgono per terra come Amelie al Café des 2 Moulins e il soffitto si alza sopra la testa: grava un po' meno sulla mia cervicale e mi consente di raddrizzare la schiena, da curva che era. Per cominciare mi son lasciato convincere da quegli sfacciati di Poltrone & Sofà a comprare un divano letto da una piazza e mezza coi controcavoli. Deve ancora arrivare ma gli ho già trovato posto in casa: a favore di luce, per leggere Focus Storia e scrivere sciocchezze su questo blog. Poi ho preso a fare cose che non ho mai fatto, per non passare a miglior vita, quando sarà, con il rimpianto di coloro cui fa difetto il coraggio. Mi sto futilizzando, per esempio, e giro per la città coi finestrini aperti e la musica a palla - non me l'ero mai sognato, è una sensazione inestimabile di fiera demenza