Stare soli per un giorno ha il vantaggio di rallentare la corsa - della spesa, degli uffici - e rimandare gli avvenimenti, cosicché posso guardarli da lontano ancora per un po'. Se tiro il freno, le cose che devono succedere non mi assaltano con l'impeto che di norma hanno, e mi regalano tempo, e brani di bellezza. Me la prendo comoda, allora, e rivedo la città nei suoi camminamenti antichi, li ripasso come a penna una linea a matita, rifaccio al contrario certe vie che attraversavo ragazzo in cerca di un angolo buio dove toccarti, te che mi scansavi le mani, e ridevi, e dicevi Ci vedono. E certe piazze sventrate che un tempo erano composte - conchigliette abitate da gelatai, banchi di albicocche candite, - sì, le taglio longitudinalmente anche loro, fin là dove posero chissà quando la testa di pietra di un leone - e chissà perché. Progettammo una vacanza, nei pressi, la prima da soli, e alla tipa dell'agenzia confessammo ingenui di non essere sposati, tanto che lei sbalordì e fece E a quelli dell'hotel che gliene importa? A mia difesa aggiungo che eravamo ragazzini, o appena dopo, e che dovevamo ancora imparare a vivere. E a tacere. Resta il fatto che i miei viaggi più necessari li ho fatti tornando dov'ero già stato, e mai la prima volta in un posto nuovo. La novità non mette in moto il piccolo tormento della memoria, e se non patisco non mi diverto. Così oggi, che ho dato libertà alle gambe, e fantasia al navigatore che ho nel cervello, e pure questa città non mia mi è parsa intenerita, a vedermi passare. Resistono come baluardi inarresi il negozio di dischi e il suo cordiale proprietario, cui ho mantenuto la famiglia per anni; il restauratore di fumetti e la sua edicola lunga, in mezzo alle auto; già però non c'è più la pizzeria al taglio che faceva quella margherita leggendaria - l'unica che mangiavi con gusto, - a metà del Corso e al principio della mia conoscenza dell'amore. Facevo pratica, ero alle prime armi; né immaginavo che avrei gestito tante vite diverse e consecutive, e vissuto oggi della mia scrittura, sogno che non osavo curare per la grandezza che ha, e che ora, finalmente è uscito dalla notte, ed è chiaro davanti a me al riscontro del mattino. Bastava poco, bastava quel che ho fatto: un atto di coraggio e la scelta di buttar via tutto il superfluo.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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