Quando scrivo d'amore qualche volta ho il sospetto di scrivere di una cosa che non conosco, e che quindi per me non esiste. Quando scrivo d'amore spesso sono equivocato. Quando scrivo d'amore certi amici ci leggono il loro concetto di amore, non il mio: me ne rammarico, è evidente che non sono riuscito a raccontarlo bene. L'amore vero è eterno, han scritto talora sotto i miei sproloqui, sotto le nostalgie, credendo che io ne abbia provato la vera natura e soprattutto che mi prema sia illimitato. Allora sarà il caso, per i miei quarantasette lettori, che provi a spiegarmi. Non ho mai pianto per amore nel senso comune per cui si piange per amore, né ho mai capito il significato di tutti gli stereotipi sull'amore. Li ho sempre trovati finti, costruiti, ho spesso pensato che incarnassero ciò che i sognatori di sogni inconcreti, i lettori di Nicholas Sparks, sperano l'amore sia, non ciò che è veramente. Dirò qui allora, a lettere di fuoco, che non vivo per infinitarmi - con ciò chiedendo scusa al poeta per l'appropriazione indebita. Non amo per il paradiso, per il ricongiungimento delle anime. Per la sublimazione degli innamorati in una dimensione cosmica - come affermano tutti seri certi buontemponi. Non me ne frega niente. L'amore che amo è molto più improvvisato, circoscritto. È l'amore di un mercoledì di novembre, mentre ti aspetto accanto a un bistrò. È l'amore di quando ceniamo assieme davanti a La baronessa di Carini, l'episodio culminante, che da ragazzini ci atterrì. È l'amore di quando ti cerco nelle corsie dei supermercati, che mi sei scomparsa un attimo da sotto gli occhi e già mi manchi. È l'amore dei litigi, delle baruffe, ma anche delle parole spese a fin di bene. È l'amore di quando mi piaci più di qualsiasi attrice, e di quando ti salterei addosso in pubblico. È l'amore della stanchezza, della fatica, l'amore di ogni minuto sottratto alla morte, al suo pensiero spaventevole, l'amore di ogni giorno in cui mi trovo perfettamente dove vorrei essere e non gradirei altra compagnia che te. Cosa me ne faccio dell'amore celeste se non posso toccarti, scherzarti, farmi medicare le ipocondrie? Sì, magari avete ragione voi: l'amore è un'altra cosa. Ma io ormai ho questa vita imbottita di piccole meraviglie, risvegli in hotel, colazioni erotiche, fantasie oscene, scazzi e weekend al mare, cui sono incurabilmente affezionato. Non negatemela, per carità: mettetecela voi una buona parola con dio. Non accetterei mai, in un milione di anni, a permuta, una noia di contemplazioni senza corpo, senza più la paura della separazione che fa dell'amore terrestre il sentimento più precario e magnifico.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
L'amore è la somma di tutte le cose pazze, erotiche, normali, semplici che facciamo mentre siamo innamorati e non ce ne rendiamo conto.
RispondiEliminaSì, credo anch'io: non esiste modo migliore per viverlo.
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