Tra le memorie ostinate, misteriosa più di tutte è quella degli odori. Non ho idea di come funzioni, di quale chimica la scateni, ma so che è dolce e turbatrice. Vive nell'alchermes per la zuppa inglese, negli atri delle caserme, nelle cartolerie muffite, negli alberghi di Cattolica e nei mobili lucidati di trementina - in fondo agli empori dell'usato. È una relazione libera, quella fra i ricordi e il mio naso: si accoppiano quando pare a loro, spesso all'improvviso, e fanno la malinconia. La prima volta me ne persuasi in una bottega di fornaio: avevo finito le elementari, da un anno andavo alle medie. La panetteria stava in coda a via Marcellina, mi ci mandò mia madre a comprare un rinfresco. L'odore di quel posto - farina secca, ferro di teglie, biscotti all'anice, lievito di birra - mi precipitò indietro, a una stagione recente, quando per andare a scuola passavo là davanti e talora sostavo, aspettando che arrivassero i miei amici, i ritardatari, per correre in classe insieme. Quel giorno sperimentai il terribile potere dell'olfatto, e mi rividi a cercare i confini della Jugoslavia sulla cartina politica, a coniugare il congiuntivo imperfetto di cuocere, a recitare nel coro degli innocenti l'atto di dolore davanti alla suora, e capii che tutte quelle cose divertenti, tutto quell'esercito di ore allegre, erano già passato, e che in quella forma non le avrei vissute più. Fu un trauma bello e buono, uno sbalordimento. Più avanti mi ritrovai a fare i conti con altre piccole morti - perché ogni epoca nuova uccide quella da cui è partorita, come una figlia degenere - e fu sempre una ferita su cui nessun cauterio aveva potere. L'odore della stagnola del Carrarmato, l'odore delle figurine quando le stacchi dalla velina, quello dei sedili delle corriere, l'odore dei dischi in vinile, quello delle riviste sconce, l'odore dei romanzi di Musil che nessuno ha mai aperto: - un odore vergine, come l'odore della prima ragazza - tutto ritornò a tradimento e tutto mi confuse, e forse levigò quest'anima da narratore di nostalgie che mi ritrovo. Ancora adesso ogni tanto ci casco: è perché viaggio indifeso, disarmato, e tutte le vecchie fragranze - quando rispuntano - con me han vita facile. Arrivano e mi squadernano - e una volta è quella degli spartiti di Gastone, una volta quella del formaggio che cola nel tostapane - e il passato smette di essere tale, ridiventa presente ma è un impostore, si mischia al presente reale e s'azzuffa con lui. Immagino sia per questo che ho le idee confuse, talvolta, rimescolate, e scambio il qui con il lì, e giuro che chi è andato via sia ancora nelle case dove ha sempre abitato, con intorno gli odori di tutta una vita.
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