Il viaggio che da questa collina di cinghiali porta alla civiltà passa giocoforza davanti al lago dove da ragazzino sperai nuotasse un dinosauro, per sentirmi un po' scozzese anch'io, e provare il brivido di andarne in cerca - negli inverni brumosi, col binocolo e il thermos del caffè - sopra una barca da esploratori. Sui due lati della strada corrono case che devono fare i conti da che sono al mondo con legioni di zanzare - io immagino - e infatti alle finestre trovi reti fitte e nelle stanze niente luci. Solo un vecchio, su un balcone, sta sempre là, di vedetta, d'estate in canottiera, d'inverno - nelle ore centrali - avvolto da coperte fino alla testa. Passa la vita lì, come agli arresti domiciliari, e muove il collo ad accompagnare ogni macchina che va, per il resto pare impagliato. Ci pensavo oggi, che sono sfilato un'altra volta davanti a lui, a quanto siamo diversi. Lui vive della sua immobilità, ne trae energia quasi, aggiunge tempo al suo tempo già grosso - o almeno è questa l'impressione che dà. Rimanda la morte rallentando i gesti, smorzando i pensieri. Io tento di fare lo stesso - rimandare la morte, dico - ma col sistema contrario: non riesco a stare fermo, faccio tre cose alla volta, sono frenetico. Un amico psicologo mi ha detto che l'irrequietezza è una piccola forma di malattia dell'anima: Fai tante cose assieme perché hai paura di non avere la vita necessaria a farle tutte una alla volta. Quando immagino la morte spero del resto che mi sorprenda a sbrigare una cosa che amo, e allora cerco di mischiarmi solo a faccende che hanno questa qualità. Mentre scrivo, mentre mangio una fetta di torta, mentre in diretta racconto una qualche forma di bellezza, mentre qualcuno su un palco canta un miracolo di canzone. Eppure stasera poteva presentarsi - le piace fare l'improvviso; stasera che, sulla stessa strada del lago ma al contrario, per il verso del ritorno, ho sbirciato, rallentando, dentro le case. La luce gialla delle cucine, a infischiarsene delle zanzare, sembrava un occhio itterico sulle facciate dei palazzi. I giorni ormai sono più corti e cenano tutti con le lampade accese. Qualcuno prendeva il dessert in giardino, ma con le maniche lunghe: l'autunno già si annuncia, nei primi cedimenti di luglio. Il vecchio non c'era, era rientrato, si vede. La sua trasgressione allo stallo: rincasare per la porta finestra. Ecco, stasera poteva presentarsi, la signora buia - ero in uno stato di grazia. Ma non si è vista, e sono tornato a casa, a raccontarvi. Non che avessi questa gran fretta, beninteso: magari anche lei ha piacere a leggermi, e rimanda e rimanda l'appuntamento d'amore.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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