Passa ai contenuti principali

vITa


Per esempio di It mi piace la poetica dell'adolescenza, lucidissima e spietata. Ogni volta che ne rileggo una scena, mi persuado che King sia lo scrittore più frainteso del mondo. Ne parlavo a scuola - quando ci andavo - e ne parlavo a una cena - di recente, - con amici che mi chiedevano un parere sul film, manco fossi Morando Morandini. Partiamo dal libro, però - ho provato a dire, - che il film è bello ma il libro è superbo. E allora si son messi di buon animo a darmi retta, e ci siamo incamminati sulle tracce della banda dei Perdenti. Che diavolo di storia. Quella del romanzo, dico, e pure le nostre in fondo, di noi che eravamo lì, ombre spesse della guerra contro Pennywise. Ma di quelle magari parlo un'altra volta. Comunque. Ci siamo urtati al discorso sulla paura, incagliati, Non ne fa, che cavolo di horror è? han detto i più giovani al tavolo. Non deve farne - ho buttato là, - non è una storia costruita per quello, ma una storia "sulla" paura: c'è differenza. E allora ho ricordato, a quel punto. Le mie, di paure. Di non essere capito: da Pietro, per esempio. Di non amare abbastanza: chi mi ha amato, per esempio. Di non proteggere a sufficienza: chi ho amato visceralmente, per esempio. E ogni volta compariva, di notte, da un sottoscala, quel clown malefico che con un altro ghigno e un altro trucco era pur sempre lui, l'incarnazione di quanto siamo vulnerabili, inermi. Così magari è un caso che It siano le interiora di vITa, lessicalmente parlando, ma mica lo so quanto, poi. Per via che è la vita che ci fa paura, e It sta là dentro, perfettamente a suo agio, e anche se io mischio l'inglese con l'italiano ed è un arbitrio, quell'innesto sembra pensato apposta. Stephen King. Gli venisse un bene. Conosco scrittori che si farebbero tagliare un braccio per architettare - patto che esista - il più insulso dei suoi romanzi. Uno lo guardo tutte le mattine mentre si fa la barba. Per dire. Però non se la tira, c'è questo di buono, in lui. Insomma, King è un tenero omone del Maine, che non farebbe male a una mosca. Uno scrittore sentimentale, nostalgico e memore come pochi. Ed è pure un genio, mortacci sua. Scava col suo bisturi dentro le cose, le persone. E arriva a estrarre la passione più spaventosa dei quindici anni: la paura. Non quella di un pagliaccio dentuto, quella è una allegoria - si può dire così? No. Quella di crescere, perdere il sospetto dell'immortalità, dimenticare gli amici e diventare tanti broker dell'anima, senza nostalgia del passato.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...