C'è, c'è, è solo che ogni tanto si nasconde. Sale sopra il muretto dell'orto e se il sole picchia verticale si sdraia tutta, come un gatto, e sta lì a oltranza. Perfino si sfastidisce, se scellerato la corteggio: Fammi le distanze - mi dice per cattiveria, e dentro a quel fare - maledetta ironia - insiste tutta la sua malarte. La tentazione, dico. Di smettere qualunque ambizione, posare i giochi, riporre i vestiti di scena. La tentazione del nulla, la tentazione a scappar via, a farmi irrintracciabile, a dirmi inafferrabile dalle voci, tutte e ognuna, che potrebbero inseguirmi. Lontano, oltre l'ultima eco rimbalzante del suono più maestoso, in un postaccio senza campo, primitivo, alieno. Via le parole, via lambiccarsi il cervello per impalcarle decenti, via la fame di storie che pur cibandomi non mi sfamano mai perché c'è sempre il sospetto di una storia migliore - indefinita - che mi fa appetente. Via il tormento dei ricordi, la cerca della grazia come elemosina dell'impudenza di scrivere - anch'essa incarnata, ma in una donna ricca e sospettosa. Pure tra le capre tuttavia, in questo deserto dove mi avventuro e l'aria gelida la notte accoltella i polmoni, stanno in agguato, le cose da romanzo. Eccone una, la vedo, tra i molestìi di insetti: una donna vive con suo figlio in una città in rovina; un uomo le irrompe in casa, gli serve un posto dove stare, deve compiere un misfatto - poi metterai a fuoco di che tipo, narratore: un delitto su commissione? - costringe il ragazzo con lui mentre la madre esce a lavorare, perché non parli. No, no, no. La scansi, Ho smesso! Sono qui per curarmi! urli, e ti risponde un pastore che esce allarmato e te Scusi, non è niente, parlavo da solo. Ti guarda come si guardano i matti, rincasa, serra la porta. Rifai il sentiero al contrario, pieno di sabbia e sprazzi d'erba, e ti domandi quando è cominciata questa malattia. Quando ti sei accorto di amare Silvia, ossia nell'attimo esatto in cui l'hai persa? O prima, prima dei quattordici anni quindi, nelle sere senza morte così tanto cantate che anche chi ti aveva in simpatia ha preso a detestarti? Questa pazzia che non c'è vita se non c'è racconto, dico, quand'è che hai deciso che era una regola? Sei arrivato qui, in questo Nevada dell'Appennino, sposando quella tentazione che pure, ancora perfida, ti scoraggia a darle spago. E la tradisci già di nuovi incantamenti, e lei malignamente ne è contenta; già nuovi ospiti salgono alla tua veranda, e dovrai pur dare loro un nome, un senso e un sentimento. È questa la tua perversione, e contro un impero così assoluto non puoi che dichiararti sconfitto una volta di più.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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