Ho corteggiato per così lunghi anni la perfezione, che solo di recente mi sono accorto che non esiste. Credevo fosse un'isola dove poter sbarcare dopo aver fatto il giro del mondo, e lì metter su casa, e una volta iniettato cemento armato nelle fondamenta nulla l'avrebbe scossa. Invece. Invece non solo non è mai nata ma il suo contrario - che ho sempre considerato una mutilazione del talento - è probabilmente un valore. Da che scrivo - con umiltà, cento difetti e un pregio - mi sono ogni volta rammaricato di non aver centrato bene una storia, di aver usato una parola al posto di un'altra - naturalmente migliore ma venuta dopo, a libro edito, e quindi troppo tardi, - di aver creato confusione attribuendo a un personaggio gesti e umori riservati due pagine prima a un altro. Maturando - o come direbbe malignamente mia figlia invecchiando - mi persuado che l'imperfezione è il sistema migliore per raccontare il mondo imperfetto che abbiamo. È una questione di sintonia, insomma. L'amore è imperfetto; il mestiere che ho inventato, i ragionamenti che faccio, lo sono. Mi vengono le palpitazioni per una squadra di calcio che ne è la quintessenza, dell'imperfezione. E poi, quando insegnavo, impalcavo avventurose lezioni imperfette, poeti raccontati a braccio, scrittori romanzati perché arrivassero - le loro vite e la loro sacrilega sfida a dio - più esemplari, accendendo un cerino di curiosità tra i banchi. Qualche volta è successo. Allo stesso modo, la mia vita si è insaporita di giorni imperfetti, che hanno più carattere di quelli dove nulla va storto. Senza conflitto, senza competizione, e in assenza di contrasti e rallentamenti non c'è ingegno, non c'è sfida, niente storytelling. E non c'è gusto a vivere. Così è la scrittura, forma d'arte povera come quella nata al mio stesso millesimo, a Genova, battezzata da Germano Celant, fatta di stracci e cartapesta, e madie riverniciate, che solo usando materiali di scarto si accorge del suo margine di crescita, e sperimenta, e assembla e canta parole restaurate che alla fine hanno pure un senso, in fila sistemate tutte assieme.
Ho corteggiato per così lunghi anni la perfezione, che solo di recente mi sono accorto che non esiste. Credevo fosse un'isola dove poter sbarcare dopo aver fatto il giro del mondo, e lì metter su casa, e una volta iniettato cemento armato nelle fondamenta nulla l'avrebbe scossa. Invece. Invece non solo non è mai nata ma il suo contrario - che ho sempre considerato una mutilazione del talento - è probabilmente un valore. Da che scrivo - con umiltà, cento difetti e un pregio - mi sono ogni volta rammaricato di non aver centrato bene una storia, di aver usato una parola al posto di un'altra - naturalmente migliore ma venuta dopo, a libro edito, e quindi troppo tardi, - di aver creato confusione attribuendo a un personaggio gesti e umori riservati due pagine prima a un altro. Maturando - o come direbbe malignamente mia figlia invecchiando - mi persuado che l'imperfezione è il sistema migliore per raccontare il mondo imperfetto che abbiamo. È una questione di sintonia, insomma. L'amore è imperfetto; il mestiere che ho inventato, i ragionamenti che faccio, lo sono. Mi vengono le palpitazioni per una squadra di calcio che ne è la quintessenza, dell'imperfezione. E poi, quando insegnavo, impalcavo avventurose lezioni imperfette, poeti raccontati a braccio, scrittori romanzati perché arrivassero - le loro vite e la loro sacrilega sfida a dio - più esemplari, accendendo un cerino di curiosità tra i banchi. Qualche volta è successo. Allo stesso modo, la mia vita si è insaporita di giorni imperfetti, che hanno più carattere di quelli dove nulla va storto. Senza conflitto, senza competizione, e in assenza di contrasti e rallentamenti non c'è ingegno, non c'è sfida, niente storytelling. E non c'è gusto a vivere. Così è la scrittura, forma d'arte povera come quella nata al mio stesso millesimo, a Genova, battezzata da Germano Celant, fatta di stracci e cartapesta, e madie riverniciate, che solo usando materiali di scarto si accorge del suo margine di crescita, e sperimenta, e assembla e canta parole restaurate che alla fine hanno pure un senso, in fila sistemate tutte assieme.
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