Certi giorni neanche le canzoni, neanche i libri che mi hanno ucciso, possono niente: la tristezza imperversa. Dentro a quei giorni sono vinto, non mi viene nessun desiderio, nessuna tentazione, devo solo aspettare che passino o che un'amica mi chiami per una rimpatriata priva di complicazioni sentimentali. Sono i giorni in cui resto fermo, non cucino, non canto, leggo tantissimo e invecchio più lentamente. Sembra così che la tristezza sia improduttiva e invece serve a ricaricarmi, o non potrei una volta che l'ho sconfitta ricominciare a vivere. Mi capitava anche da ragazzo, non è un accidente di adesso. Stavo tutta la notte seduto sul davanzale, il vuoto sotto, quando mia madre mi credeva già addormentato. Vedevo il buio che cadeva dal calamaio di dio come se lui ci avesse inciampato, e la china che sbrodolava sulla montagna, e i dieci metri dalla strada che mi tentavano se mio padre m'aveva umiliato: che morissi lasciandogli un senso di colpa incurabile. L'unica idea decente che mi è venuta nelle stagioni tristi è che a furia di aspettare non avrei fatto altro, per tutta la vita. Perché non esiste un'altra vita che comincia dove finisce la prima, che inizia appena hai messo a posto quelle due o tre faccende che ora non ti lasciano respirare. Non funziona così, non serve a niente dire Tra sei mesi vedrai di cosa sono capace. Funziona invece come nelle battaglie campali, devi infilare la baionetta e avanzare. Il guaio è che a volte sei stanco, impaurito, trafitto dalle parestesie, e tutto quello che fai e che scrivi ti sembra ignobile. Non ami più, non te ne accorgi? Lasci che le cose accadano, che la gente viaggi, partorisca progetti, senza di te. Magari ho amato troppo - ti racconti - e l'amore è finito, come una vaschetta di gelato. Oppure non hai amato mai, ti sei sempre soltanto illuso, e non puoi cominciare adesso, se non sai nemmeno come si fa.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Ciao Francesco, potrei averla scritta io, per quanto mi sono immedesimata.
RispondiEliminaSai sempre cogliere gli stati d'animo, che poi sai, che non sono solo tuoi.
Grazie, mi fa piacere. Perdonami però se non mi ricordo chi sei, sul commento c'è scritto Anonimo. Comunque sia, un caro saluto.
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