Forse ha ragione Alessandro Baricco quando dice che le cose passate vanno lasciate andare, senza mettersi a rincorrerle, senza trattenerle a tutti i costi, ma se facessimo davvero così, cosa rimarrebbe da scrivere? I compagni di scuola dell'ottantatré, gli occhiali da sole smarriti a Selinunte, gli amori creduti eterni, il sesso allegro con le amiche occasionali, non sono tutti pretesti narrativi di prim'ordine? Se li lasciassimo perdere, la bocca degli scrittori diventerebbe muta, e io non riuscirei a raccontarvi più niente. Io credo che scrivere - o raccontare a voce, che sono sostanzialmente gesti fratelli anche se uno è premeditato e l'altro innocente - sia la superbia più efferata: ti costringe a bagnare nel mito ogni stupido giorno. Se permettessi alle cose di scappare non ne avrei nostalgia, le scorderei, e la nostalgia è quella fune sottile che tiene insieme ieri e oggi, il momento in cui le cose accadono e l'altro, il momento in cui insistono per diventare parole. In mezzo c'è il dolore, e ci sono l'ansia rapinosa e l'ostinazione a essere felici. Dolore ansia e felicità sono i sentimenti che più ho consumato, nella mia vita, compagni di viaggio estremi, che mal si sopportano. Il primo è metodico, si infila in macchina, sale con me in aereo, mi abbraccia come certi amici invadenti e mi spezza il respiro; l'ansia apparecchia la sua arte una volta venendomi a prendere a scuola, un'altra al risveglio da un sonno agitato; la felicità scoppia come una bomba atomica e fa gli stessi effetti di un petardo, tanto è rapida a scappare via, dissuasa dalla ragione. Non sono mai riuscito a lasciar giù nulla, per questo non sarò mai Alessandro Baricco. Ho trattenuto ogni singolo bacio, perfino il più casto, ogni sorriso per la strada elargitomi da un estraneo, tutti i mattini di quiete dopo le notti di spavento e qualunque casa vuota dove il giorno prima c'era una festa. Tuttavia, a difesa della mia dissennata abitudine, ho una piccola certezza: che non avrei potuto concepire nulla che fosse degno di essere letto, senza tutto quell'armamentario di corbellerie.
Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...
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