E così, dopo una collezione di splendidi disastri che mi han fatto dubitare di dio e della sua deontologia professionale, ecco che le cose riprendono a marciare per il verso giusto, le cure si sciolgono per terra come Amelie al Café des 2 Moulins e il soffitto si alza sopra la testa: grava un po' meno sulla mia cervicale e mi consente di raddrizzare la schiena, da curva che era. Per cominciare mi son lasciato convincere da quegli sfacciati di Poltrone & Sofà a comprare un divano letto da una piazza e mezza coi controcavoli. Deve ancora arrivare ma gli ho già trovato posto in casa: a favore di luce, per leggere Focus Storia e scrivere sciocchezze su questo blog. Poi ho preso a fare cose che non ho mai fatto, per non passare a miglior vita, quando sarà, con il rimpianto di coloro cui fa difetto il coraggio. Mi sto futilizzando, per esempio, e giro per la città coi finestrini aperti e la musica a palla - non me l'ero mai sognato, è una sensazione inestimabile di fiera demenza. Ed è a me che si rivolgono gli amici quando devono scrivere le frasi a doppio senso sul lenzuolo nuziale, quello che si mette sul tragitto degli sposi. Sono un poeta, dovete credermi: mi vengono delle cose così sconce da lasciare a bocca aperta (e già questo basterebbe) che però son costruite: il loro senso arriva un istante dopo rispetto alle battute più triviali. Nel frattempo vorrei comprare un Suv, fare un viaggio a Sharm, disintossicarmi in una Spa, regalare a qualcuno un corso da sommelier, organizzare un'apericena in terrazzo. Mi manca solo il terrazzo, ma tanto io cambio casa due volte l'anno, non è un problema. Vorrei liberarmi dei miei libri e delle emicranie che mi provocano. Qualcuno li vuole? Li regalo, aspetto solo che scriviate sotto Mi prenoto, come fanno certi sui social, quando certi altri si disfano di vecchie cucine a gas e televisori col tubo catodico. Ho scoperto che essere futili è magnifico, riposante, antiossidante. E ci si allegra, a vivere a quel modo, si licenzia la cupezza e si assumono tutta una serie di sensazioni volatili e vagamente ubriacanti, innocue, stupide e gloriose. Scemo che sono: tutta la vita ho cercato la felicità altrove dal posto in cui era. Sta in quella boutique laggiù, - la vedete? - in quell'abbonamento in palestra, nelle frequentazioni fatue, nelle battute tristi per far ridere le donne, nei solarium e nelle settimane bianche. Alla mia età avrei dovuto capirlo da un pezzo.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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