La mattina dell'ultimo giorno di mare io ripasso i miei passi, e per farlo mi serve del tempo. Per questo mi alzo prestissimo, prima del giornalaio, prima del ragazzo che pulisce la spiaggia, prima che il giocatore di carte ricompaia sulla porta di casa, assonnato e al verde. Prima. Mi alzo e riannodo nella memoria tutta la settimana di vacanza, dalla domenica salto al sabato, dal sabato al venerdì, dal venerdì al giovedì. Le cartolerie che la sera hanno esposto sulla piazzetta i portachiave coi nomi di battesimo e i libri di Cortazar, ora son chiuse coi lucchetti, le serrande abbassate. Ti ho comprato un fermacapelli col tuo bel nome sopra, ricordi? Era appena sei ore fa. Lo hai messo in borsa, dicendo Non ho uno specchio, lo provo in albergo, e poi ti sei emozionata quando ti ho corteggiato, mentre aspettavamo la pizza. Hai detto Smettila, ma teneramente, perché temevi ci ascoltassero quelli dietro, moglie e marito, che si erano zittiti di colpo, e ridacchiavano. Ho camminato fino al nostro ombrellone, mentre il sole sorgeva sull'Adriatico, lì dove ho finito di leggere La sposa giovane e risolto un paio di cruciverba senza schema destinati ai solutori più abili. Tu leggevi un po' Hemingway e un po' me, il che mi ha trasformato in una nuvoletta, come la figlia di Saba in quella poesia definitiva, una cosa dopo la quale nessuno, mai più, avrebbe avuto bisogno di spiegare cos'è una figlia per un padre. Davanti al mare vuoto ho fatto un selfie con la barba rasposa, l'ultimo giorno di mare non mi rado mai, la porto fino a casa, mi ci pavoneggio un po' e la mattina dopo, finita la nostalgia, la taglio e vien fuori l'abbronzatura. E tu mi dici che sono attraente: bontà tua. Dopo il selfie ho girato un po' per il centro, in quel momento aprivano i bar, sbadigliavano le commesse, fischiavano le macchine del caffè. Il viale lungo lungo che porta fino al luna park, col suo bruco mela protetto dai teloni, l'agenzia immobiliare con prezzi da Costa Azzurra, le biciclette legate ai lampioni, il palco dove ieri sera han cantato i Jalisse: tutto è addormentato, tutto spaventosamente malinconico, tutto mi strappa l'anima. Vorrei portar via con me tutti i portachiave con tutti i nomi del mondo, tutti i romanzi di Cortazar, tutte le biciclette incastrate nelle rastrelliere, tutte le buste sorpresa delle edicole, e perfino i Jalisse, se accettassero di vivere da noi, in subaffitto. E invece mi intenerisco l'ultima volta, guardo quel che resta da guardare, lascio giù ogni intenzione, torno sui miei passi e salgo a svegliarti: Tesoro, è ora di alzare i tacchi.
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