Passa ai contenuti principali

La balena

Ci hanno regalato il mondo e il gesto per raccontarlo, ma non crediate che il narratore sia un privilegiato. Al contrario: le mani gli si rompono, a furia di scrivere, il respiro è chiuso, come il fiato avesse una barriera contro cui sbatte, e vive perciò sott'acqua, o così gli pare. Ha queste controindicazioni, l'arte povera che pratico, senza il vantaggio di saper fabbricare trumeau, reti con doghe in legno, settimini dentro cui riporre mutande e soldi spicci. Gioca con ciò che è disutile, il narratore, e con quel che a questo mondo pratico sembra un trucco: raccontare lo è, perché per natura quel verbo è ingannevole, è fratello di romanzare, il che vuol dire cambiare le cose per farle più avventurose, e belle. Per onestà metterei tutti i miei ricordi dentro un cappello - come fa Vecchioni con le parole - e vi mostrerei quanto sono insignificanti, ma così facendo non avrebbe più senso niente, neanche la mia vita. Ogni memoria, allora,  è un pesciolino che nelle mani di Franceschini - e di mille altri più bravi di lui - diventa balena. Lo stesso inganno di quando avevo sei anni e certi girovaghi  arrivarono in piazza con le fanfare e i megafoni, e tutta Narni accorse a vedere che c'era. C'era appunto una balena dentro a un carrozzone, lo piazzarono davanti al caffè Italia e si pagavano cinquanta lire per entrare a vederla: È imbalsamata e immensa - dissero. Così, senza permessi, senza nessuno che glielo impediva, facevano entrare la gente da un lato, la facevano sfilare davanti alla bestia - ed era tutto un coro di Oh, guarda che mostro, un coraggio di mani a toccar la carcassa - e poi uscire dalla parte opposta. Là dentro mi ricordo odor d'oceano, di fasciame alla deriva, di alghe fradice e stoccafisso. O forse questa è la parte romanzata, e potete credermi oppure no. Sta di fatto che l'inverno prima avevano dato Pinocchio in tv, lo sceneggiato magnifico di Comencini, e i circensi avevan capito che si potevano tirar su due soldi a giocare con quella fantasia. Non era vera, la balena, era di cartapesta. E si vedeva, per quanto era fatta male. Ma a tutti, grandi e ragazzini, sembrò giusto credere a quella fandonia, perché era eccentrica e le cose eccentriche capitano poche volte, agli esseri umani. Lo stesso fate quando il narratore scrive: fingete di credergli. È  solo un saltimbanco che cerca di farvi sopportabile la vita.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...