Scrivere per me e non per gli altri è il modo migliore che conosco di scrivere per gli altri, perché quando scrivo per me sono esigente e sul pezzo, come un cronista del Washington Post ai tempi del Watergate. Vado cioè alle fonti primarie, le sole attendibili, e le interrogo allo stesso modo di quando inchiodo i ragazzi a scuola, e similmente le sgamo, se mi raccontano balle. Ok, i ricordi - a quelli alludo quando parlo di fonti primarie - di rado ingannano, ma c'è pur sempre il rischio di un vuoto di memoria tra due pieni, un'ora da riempire di gesti tra altre ben presenti, e lì per amor di completezza tocca romanzare. L'importante è farlo - romanzare, dico - quando proprio non hai alternative. C'è differenza del resto tra i giorni che son diventati memoria senza che ne avessi il sospetto - quelli della giovinezza, specie - e quelli di oggi, che lo diverranno tra un po', ma che già adesso scopro arricchiti di questa funzione aggiuntiva. Un tempo i sussurri e le grida erano uno spreco - giacché credevo, ingannandomi, che morissero con la sera; da qualche stagione, al contrario, vivo archiviando le cose che arrivano e quelle cui vado incontro, il che significa avere un sacco di roba nuova da raccontare, da qui a cent'anni. Questo forgia l'etica del narratore, io spero: la credibilità, far presente a chi legge che le invenzioni invenzione non sono, e che qualcuno - un mistico, forse un aviatore - le ha già sperimentate con successo nel momento in cui il narratore agisce. Francamente, temo che proprio questo sentimento di universalità sfugga presempio alla scuola, che è il posto dove sperimentare è un verbo che andrebbe coniugato allo spasimo. Più che insegnargliele, ai ragazzi, le bellezze del mondo sospetto che dovremmo fargliele provare, come i capi d'abbigliamento alla Rinascente, e far decidere a loro quali gli piacciono e quali no. Su questa faccenda Umberto Galimberti ha detto una cosa, ieri o ieri l'altro. Saggia ovviamente: I ragazzi vanno sedotti con la cultura. Musei, cinema, libri, teatro. Ma io avrei aggiunto, in tutta umiltà: Nel contesto adatto, però. Questa società non lo è: è fatua, interessata. Oscena, sovente, che è come dire il contrario di bella. E non incoraggia all'innamoramento. Un posto dove tutti i notiziari aprono con questioni allarmate di denaro, direi che di passione ne distilli poca, e di bruttezza un botto. Per la seduzione ci vuole bellezza, invece. Non solo nei libri, nei teatri. Ovunque. Per strada, nelle piazze, nelle fabbriche, nelle segreterie di partito, dentro le case. Nelle teste. In modo che ci sia coerenza tra pedagogia e vita quotidiana. E allora: ribelliamoci, abbelliamo tutto. Io già ho cominciato: scrivere lo è, ribellione estetica, nientedimeno. Ed è anche - per chiudere il cerchio - il sistema di seduzione più spettacolare che conosca.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post