Ah, i figli: che magnifica maledizione. Quando raccontano e li devi stare a sentire, quando racconti tu e ti fan cenno di stringere, e quando ti impongono le loro canzoni e devi trovarci dei pregi - e certe volte è proprio difficile - perché ci tengono, sono teneri dentro quelle armature, dietro il cinismo esibito sono poltiglia. Facciamo dei gran giri in macchina, più di talvolta, solo per sentire la musica, io e Susanna. Non possiamo arrivare almeno fin là? e fin là è sempre un altro paese, un po' più lontano di quello dove stai, e speri almeno che tutto quello sciupìo di benzina la rallegri, le smonti per qualche ora il sospetto che chi le manca le mancherà per sempre, che non c'è cura a una cosa così enorme. O magari sì, chi può dirlo, magari la commozione è un antibiotico formidabile, e quella la provocano tante cose, tutte benefiche: di quelle andiamo in cerca, senza soluzione di continuità. E ci fermiamo, c'è il caso, in certe radure di sole, folte d'erba e di ciclamini - macchie di viola sopra il verde - e lei dice Ti ricordi quando? e la colpa è mia, che le ho attaccato l'ostinazione a curar la memoria come una malattia, ma al contrario: per non debellarla mai, perché è di quelle che speri ti becchino in pieno, come un temporale. In ogni pausa del ragionamento, nascosta davanti a ogni verbo dal soggetto sottinteso, rivive sua madre, è lampante, come la sua abilità a non nominarla mai e tenerla sempre al centro: di ogni invettiva a dio, di qualunque speranza, di tutte le rievocazioni che proprio per difetto di memoria, per pudore, son costretto a contraffare. C'è questa stupefacente abilità, in lei, a camminare sul filo: se scrivesse saprebbe nascondere l'assassino fino all'ultima riga, pur mostrandolo di continuo, e il lettore alla fine si sentirebbe sciocco, ma felice di aver letto il libro. Hanno perciò questa crepuscolarità, le nostre avventure: sono aspre come le olive di Puglia ma succose, e danno senso al viaggio, alla fatica di doverlo organizzare, alla sosta in un drugstore della Valnerina per uno spuntino col pane salato, ai silenzi lunghi e ai dialoghi secchi, improvvisi, al modo di un lampo che sfebbra la notte, e lascia una cicatrice sulla volta scura. E poi le lezioni di guida, imparare i segnali, Lì è divieto di accesso, Lì non puoi parcheggiare e La patente non la prenderò in cent'anni e dài giù a ridere, ma sul serio, così forte, così tanto, che ci meraviglia. E sotto casa, che si è fatto tardi, ecco che sfuma l'ultima canzone, come un ferro rovente tuffato in un bacile. Ho rallentato apposta, per farla finire. Perché potessimo sentirla tutta e andare a dormire senza debiti col destino, e rasserenati.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
la tua bimba ha un padre speciale,e lo sa
RispondiEliminaGrazie, è un combattimento continuo per essere degno della paternità.
EliminaQuesta persona sempre presente nella memoria e nella vita di entrambi voi. E il dono più bello che ti ha lasciato: vostra figlia ♥️
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