E dopo aver tanto scritto, capitano giorni in cui ti senti scarico, e ogni cosa che pur scrivi sembra irrilevante, e forse lo è. Ci sei dentro fino al collo, in quest'epoca avara, e vorresti buttar via tutto, perfino il passato, che improvvisamente appare torbido come il significato dei tuoi romanzi, che pure fino a oggi ti è parso manifesto. Calma e gesso, allora: respira, fai una sgambata per i boschi, smetti di scrivere per qualche giorno. Vai al mare, mangia a un ristorante sulla spiaggia, stàncati e rigenerati, fai l'amore, ridi, leggi un autore che non hai mai letto. È il segno di una mutazione, in realtà, il sintomo che ciò che dovevi dire in merito alla tua vita precedente lo hai detto, e raccontato come meglio hai potuto, il recipiente delle cose vecchie è vuoto e ora è tempo di cambiare. Linguaggio e storie. Premurandoti tuttavia di conservare la stessa coerenza, la medesima faticosa qualità, l'identica ostinazione a non risparmiarti. Tre romanzi e un libro che raccoglie - come piccoli fiori da un prato - le tue memorie più nobili: questo hai pubblicato, ridendo e scherzando, dal 2011. Non ti sembra abbastanza? Non puoi vivere di rendita, anche perché sarebbe appena sufficiente a sfamare un uccellino: devi ricominciare da zero. Tutti i narratori onesti, lo fanno, di tanto in tanto. Si fermano, si placano della smania di comporre forsennatamente, fanno inversione di marcia, si perdono per la campagna, chiedono a un bed&breakfast la direzione, ne approfittano per mangiare una cosa e poi rimontano in macchina e danno gas. L'ironia, per esempio, a cui sei legato come a una scialuppa di salvataggio: non trovi che sia giunto il momento di liberarsene? Ti è servita per non affogare, è stata salvifica, ma credo che dovresti provare a capire se sei scrittore anche in sua assenza. È innegabile che sia una filosofia di vita e di scrittura tra le più raccomandabili, ma è altrettanto vero che esistono libri magnifici dove non ce n'è nemmeno un grammo, e che alcune storie suonano più potenti se lei ne resta fuori. Non vorrei diventasse, come per Linus, una coperta che ti scherma dalla gente, o il tuo solo colore, perché in quel caso non faresti che ripeterti, illudendoti di inventare cose nuove. Ti sbalordiscono gli artisti che sanno architettare imprese differenti, no? Che non si ripetono, come fotocopie. Lo dici di continuo. Ecco, questa è la tua occasione. Questo sentirsi incastrato magari è solo apparente - o magari no, e allora mettiti a fare il carpentiere, o torna a insegnare. Ma se è solo un passaggio naturale, direi che l'occasione di inaugurare il secondo tempo della tua piccola carriera - di avventure inedite e rinnovato nella voce - non te la devi lasciar scappare. Per nessuna ragione al mondo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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