Stanotte sotto casa mia, seduto sul cordolo di mattoni che cinge il parco dei partigiani, c'era dio. Sono sceso in ciabatte, scarmigliato, e alle due e venti del mattino ci siam messi a chiacchierare come vecchi amici. Si è scusato per l'improvvisata, dice che l'ha deciso all'ultimo, di raggiungermi, e che fino al giorno prima aveva una mezza idea di fare un salto al mare. Poi però pioveva e ha cambiato programma. Già che c'era, aveva da chiedermi una cosa - una cosa lui a me, roba da matti - e io malgrado il sonno ho spalancato le orecchie. L'ha presa alla lontana, così mi è parso. Ha detto Stai tranquillo che per tutti i giorni storti, cattivi e strani ti spetterà una ricompensa. Mica avrai pensato che il dolore è un vuoto a perdere? Poi quando ha visto che ero rassicurato è andato al punto. Però, ha detto, però: senti una roba. E si è avventurato in un ragionamento più grande di lui, tanto che certe parti le ho afferrate e certe no. Ho capito che si stava scusando, e per la fragilità delle promesse d'infinito e per la temerarietà della vita. Non ho capito perché le ha concepite a quel modo, quelle promesse e quella vita. Poteva pensarci prima, ma tant'è. E a un tratto si è messo a contrattare. Di colpo, come uno di quei masnadieri che lavorano nel marketing, come l'amministratore delegato di una multinazionale, ha cercato di comprarmi. Ok, le intenzioni erano buone ma il gesto resta discutibile. Rivoleva indietro la speranza - ecco il suo colpo di genio. Ho pensato che servisse a lui, dev'esserne sprovvisto e finalmente si è accorto della mutilazione. Al suo posto mi avrebbe offerto la certezza. Voleva che gli rendessi quel vago orizzonte di eternità, largo e piatto come un mare senza vento, così poco strutturato, per niente concreto, che millenni fa gli era parso una buona idea, e in cambio m'avrebbe fatto ricominciare da capo la mia vita, con le stesse persone, lo stesso stupore per la bellezza, ma con tutto quello che era successo già in mente. Di ogni passaggio, di tutti gli atti puri e impuri, avrei saputo le conseguenze in anticipo, perché erano già accaduti, e avrei potuto scegliere se compierli di nuovo, correggerli o trattenermi dall'empietà. Poi una volta arrivato alla fine: buio in sala. Lo chiamate il nulla, voialtri - ha scherzato, - ma è un nome che la fa troppo importante. Insomma la scelta era tra un'eternità forse esagerata - a cantar salmi o che so io, probabilmente a rompermi le scatole - e una seconda esistenza riveduta e corretta. Ci ho pensato fino a che non è spuntato il mattino - lui nel frattempo era andato via. Mi ha dato una settimana di tempo per decidere. In cuor mio non ho neanche un dubbio per la prima volta da che campo su quello che desidero fare.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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