Il brasiliano è un portoghese che al momento di partire da Lisbona diede le spalle alla città. Non vedendola allontanarsi, rimpiccolirsi, non ne provò mai nostalgia e già prima di arrivare in sudamerica l'aveva dimenticata. Chi parte guardando la città che lascia, invece, è un irresponsabile che si condanna per sempre alla tristezza. Quei vicoli e quel mare di porto saranno tutta la vita con lui, ovunque viaggi, in qualunque modo invecchi. Nelle conversazioni troverà il modo di tirar fuori, prima o poi, quella mancanza, il racconto della parte di sé lasciata a casa, la luce di quel mattino che salpò, il rumore dell'oceano sulla chiglia. Lo so perché faccio lo stesso da che campo, o almeno da che ho memoria della memoria, della sua crudeltà. Non sono mai stato in Portogallo ma ci voglio andare perché è il paese del Fado, che è la musica più intrisa di struggimento che conosca. Già mi attira di meno il Brasile, è un fatto di indole: lì ci sono troppi colori, l'emigrante portoghese si è mescolato con i nativi, si è fatto convincere che la malinconia è una bestia e l'ha abbattuta. Troppa felicità ne è uscita dal mescolìo, e la felicità rende superficiali. Il Fado, al contrario, scava, scopre quel che credevamo di aver lasciato per sempre, lo disseppelisce e siamo fregati. Devo aver guardato Santa Severa, allora, nel 1978, quando vennero a prendermi per riportarmi a casa. Una settimana da certi cugini di Tivoli che facevano la villeggiatura al mare, e avevano una casa e un giardino davanti alla spiaggia. Vennero i miei e mi riportarono indietro. Non me lo ricordo, ma sono piuttosto sicuro che dal lunotto posteriore guardai la città che si allontanava e impressionai la pellicola. Perché ieri, che ci sono tornato con Susanna, mi ha preso quell'antico desiderio di vivere per sempre che credevo potesse avverarsi sulle sedie del suo cinema all'aperto, davanti ai chioschi dei gelatai. Per uno scherzo del destino - eccolo, il Fado - in quattro passi mi sono ritrovato davanti a quella casa d'infanzia. O una che ci somiglia. Le ho scattato una foto, il proprietario di adesso mi perdonerà. Il portoghese che sono è tornato in una delle sue patrie ma non lo ha confessato a sua figlia. Solo a quelli che hanno la pazienza di leggerlo, e poi è saltato al presente.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post